Page 105 - RIVISTA AGOSTO 2024
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essere inquietudine, spleen che comporta il fatto di esistere, la poesia; amore oblativo, fusione
panica in naturalismi di piane e di marine, di terre aperte ai venti che ci annullano; o forse
impegno e denuncia di un mondo ingiusto che ci rattrista. Può essere il tentativo di ognuno di
noi di avvicinarsi il più possibile all’inarrivabile, può essere parola, questo mistero d’intrecci,
lavorato, incrociato, cesellato e demandato a sortire suoni, effetti, geometrie: mistero che
non è più semplice parola, ma stilema, concretizzazione di noccioli a imprigionare immagini
che sgomitano per aprirsi alla luce del sole, alle rive lontane. Ma poesia può essere anche e
soprattutto memoria con tutti gli interrogativi che comporta il dilemma della sua destinazione.
E la memoria è vita, vita vera, che è rimasta, degna di esistere, filtrata dal tempo; poche e
preziose sono le cose che si salvano considerando il potere dell’oblio:
“SULLE ALI DEL TEMPO
Pennellate di nuvole sfiorano la superficie del cielo, accarezzano il cuore per disperdersi in
rivoli di riflessi dorati sulle ali del tempo”
“È nel ricordo e nel tempo che gusto quelle lacrime” afferma Pirandello. Io penso che
la poesia sia un po' tutto questo: memoria, suoni, paesaggi, voglia dell’oltre, del tutto,
dell’immenso, di quella totalità da cui forse veniamo e di cui forse siamo impastati; vita, con la
quale la poesia stessa è inscindibilmente legata.
E proprio questa silloge si nutre di echi, colori e profumi di memoria: sono voci che ritornano
filtrate da sogni sedimentati da tempo nell’anima. Si riveste di un sentire che lo rende
immagine, e col reale ha poco a che vedere, si ingrossa, si trasfigura; quello che non è stato
detto non è più silenzio, ma silenzio rumoroso, fatto di spine che graffiano dentro, e che
spesso la stessa magia della poesia non è sufficiente a ridire: è eco, colore, profumo che torna,
a volte acuto, a volte vago, indeterminato, appannato, chiuso da ambiti stretti e vorticosi. E
sono proprio questi ambiti a vestire le memorie che trasferitesi nelle parvenze si fanno corpo:
“SENTIR
M’è parso di sentir un suono nuovo stamattina,
forse il pigolio,
di una dolce capinera annuncio di un sole vero.
Nell’aria un profumo è già primavera”
Quanto si bramerebbe poter toccare, abbracciare figure che una volta ci sembravano eterne
e che invece sono scomparse nel nulla, come per incanto, a simboleggiare la precarietà
dell’esistenza!
Quando ci accorgiamo della fugacità della vita, e percepiamo l’inconsistenza del tempo, forse
è troppo tardi per dare un senso al dilemma dell’essere e dell’esistere, a ricucire le maglie di
una rete ormai irreparabile per un’ora che volge al tramonto; resta il rimpianto per non avere
detto, per non avere fatto, per non avere osato:
VUOTO
Un grande vuoto ha spezzato il tempo sospeso il presente in una prigione di morte, cuori
bruciati dal vento persi nel dolore su strade senza meta, eterni viandanti senza risposte
Lo stile delle liriche di Cerini, dal tessuto pulito ed essenziale, incalza e persuade per nitidezza
e linearità; in una forma lessicalmente puntuale e musicalmente piacevole.
Franco Carta Poeta e scrittore ibrido
periodico mensile del gruppo NOIQUI 105