Page 9 - RIVISTA NOIQUI FEBBRAIO 2023
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ascolto, una qualità di rispetto. Si tratta di aiutare, pian piano, una persona ad accettarsi. Dietro
JEAN VANIER, IL MALE INNOCENTE la violenza di Coline, c’è un cuore di donna”
LA PAURA DEL DIVERSO, LA TIRANNIA DELLA NORMALITA’ Jean Vanier tace. Guarda il pavimento con la testa pensosa. Poi riprende con vigore.
I gruppi di Fede e Luce sono comunità di incontro di cui fanno parte ragazzi con problemi psi- “Il problema è che abbiamo un problema di società. È un grave problema. E questo problema è
chici, i loro familiari e gli amici che, essendo tali, non vogliono essere definiti volontari. In esse la tirannia della normalità. Il dover essere come tutti gli altri. Il dover riuscire come tutti gli altri.
avviene un coraggioso ribaltamento dei valori, per cui il più debole è al centro, non ai margini E così non si ha più diritto di essere sé stessi. Ma per essere sé stessi è necessario che qualcuno ci
come spesso avviene nella nostra società. L’handicap psichico non fa più paura, ma diventa dica: ti amo così come sei. Non hai bisogno di diventare quello che gli altri vogliono che tu sia”.
risorsa di amore e solidarietà. Anche se comunque la forte instabilità mentale e comportamen- Il messaggio è chiaro, le parole scendono forti in un francese comprensibile, le frasi sono ancora
tale di questi ragazzi, quel “misto di pace e caos” è fortemente coinvolgente e stressante per più incisive perché intercalate e quasi sospese, mentre risuona la voce commossa dell’interprete.
chi sta vicino a loro. E come in un duetto questi due fraseggiare si alternano ed echeggiano sulla platea incantata.
“Jean Vanier, scomparso tre anni fa all’età di 90 anni, è stato insieme a Marie Hélène Mathiew, La paura dell’altro, la paura di chi non è come te. Jean Vanier pensa a Santiago del Cile. Andando
il fondatore nel 1971 di Fede e Luce, che attualmente è diffusa in gran parte del mondo. Di dall’aeroporto verso la città si percorre una strada ove a sinistra vi è una bidonville abitata dalla
lui Giovanni Paolo II ebbe a dire: “È un grande interprete della cultura della solidarietà e della povertà, dalla disoccupazione, dalla droga. Dall’altro lato della strada vi sono le case dei ricchi,
civiltà dell’amore, nell’impegno a favore dello sviluppo integrale di ogni uomo e di tutto l’uo- protette dai militari. Il taxi corre senza problemi: nessuno attraversa la strada, nessuno va da un
mo”. marciapiede all’altro. Tutti hanno paura di chi potrebbero incontrare dall’altra parte. La paura
Qui vorrei ricordarlo parlando di un incontro davvero storico avvenuto nel novembre 2014 della differenza. La paura dell’altro...
con le comunità italiane nella chiesa di San Gioacchino a Roma. Quindi la riflessione scava nei motivi inconsci di questa paura.
“Uscire dalle nostre paure per costruire la pace” questo è stato il tema della riflessione in una ” Come Adamo si nascose a Dio perché era nudo, così noi non vogliamo mostrare la nostra
chiesa affollata fino all’inverosimile, sotto la grandiosa cupola ottagonale di alluminio turchino nudità. La nudità non è la mancanza dei vestiti. La nudità è la realtà dell’essere umano. Ho avuto
traforata da centinaia di stelle di cristallo. In questo scenario magico Jean Vanier ha lanciato un paura a causa della povertà radicale del mio essere e mi sono nascosto sotto un potere, sotto una
messaggio forte e carico di speranza, con momenti di alta poesia e spiritualità. funzione, non voglio che tu veda la mia debolezza, voglio dimostrarti che sono capace. E questa
“Sono molto contento di essere tornato qui” ha esordito. “La mia vocazione è di essere felice è la tirannia della normalità. E noi abbiamo tutti il desiderio di provare che siamo qualcuno e
e di vivere nel mezzo della mia comunità. È un privilegio vivere con delle persone fragili”. pertanto siamo tutti fragili”.
A Jean Vanier la follia non fa paura. La follia è occasione d’amore, è opportunità d’incontro Da ciò hanno origine le difficoltà nel dialogo e, talvolta, le ostilità tra le diverse culture, tra le
col diverso, è liberazione dalla tirannia della normalità, è il privilegio di condividere la fragilità. diverse chiese e religioni. È necessario, invece, lavorare per l’incontro tra le diversità, perché
L’instabilità mentale di questi ragazzi, la loro violenza senza scopo, è ormai diventata la sua possiamo stare insieme e non siamo condannati ad essere uomini e donne di paura. “Le lacrime
vita. Ma non è stato sempre così. Da giovane era sulle navi della marina canadese. Forse un di una mamma atea o di chi crede in un’altra religione, sono le stesse lacrime di una mamma
giorno, guardando il mare e il suo abbraccio infinito col cielo, si pose quelle domande esisten- cristiana”
ziali” Cos’è il vero? Cos’è un essere umano? Perché esiste il dolore innocente?” La risposta fu il È ormai tardi. Jean Vanier, con un ampio
chiodo a cui appese la sua bianchissima divisa di ufficiale della marina canadese. Entrò senz’ar- gesto delle mani, saluta i presenti. Lo sor-
mi nella scena dietro le quinte dell’emarginazione e dell’handicap psichico. Entrò nel mondo regge verso l’uscita la sua interprete. La fol-
magico e doloroso della follia. Ma con la forza di un dio, ha tirato fuori i deboli dai margini la defluisce in silenzio. Qualcuno spegne gli
affossati della società, spingendoli al centro della scena. Li ha messi letteralmente sull’altare affreschi e le luci e nella grande chiesa entra
davanti al leggìo e davanti a un libro che non sanno leggere. Li ha messi lì, immobili, a guar- il buio, entra il silenzio.
dare quel Sacro Testo che parla anche di loro, degli ultimi. Li ha messi lì a infrangere il rito dei
benpensanti, a urlare frasi prive di senso su una liturgia scontata e ripetitiva. In quella follia, che
irrompe sui sacri marmi, si assiste sgomenti al recupero di una sacralità vera.
È una sera di autunno inoltrato. Anche lui, Jean Vanire è seduto sull’altare, ma non è un prete.
I suoi lanosi capelli bianchi ciondolano sul capo traballante di ottuagenario, illuminati dalle
lampade che vengono giù dall’azzurra cupola ottagonale di alluminio. Intorno a lui, come in
un abbraccio, oscilla la folla immensa e silenziosa.
Ecco Coline “Era emiplegica, era epilettica, era diabetica, ma quello che caratterizzava Coline
era la sua violenza. Una donna arrabbiata. Una donna furiosa. Una donna violenta. Quando si
vive come noi in piccole comunità, non è facile la presenza di una persona come Coline. Allora
la domanda è capire perché tu sei violenta. Dov’è la tua sofferenza? Dov’è la tua ferita? Essa è
nata, forse, in ogni minuto di quei quarant’anni di umiliazione. L’umiliazione delle persone con
handicap, l’umiliazione dei suoi genitori.... Coline aveva tante ragioni per essere in collera col
suo corpo e con gli altri, se tutti quanti la scacciavano perché era emiplegica. Chi ha un handi-
cap sicuramente ha bisogno di professionisti bravi, di medici che gli diano buone medicine, dei
fisioterapisti, ma soprattutto di qualcuno che gli dica: amo vivere con te. Amare non vuol dire
fare delle cose per una persona, amare vuol dire rivelare che tu sei importante, una qualità di
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