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RIVISTA NOIQUI FEBBRAIO 2025     https://www.youtube.com/@noiqui/featured

                F

                     RANCESCO D'ANGIÒ

                  il masCalzoNe (maliNCoNiCo) latiNo


                Se nasci il 19 marzo 1955, a Napoli, in vico "Foglie a Santa Chiara", nell'antica
                modestia di un "basso", le probabilità che ti chiamino Giuseppe, sono elevate.
                Se poi di cognome fai anche Daniele e più che muovere i primi passi, pare che
                tu abbia mos-so le prime dita sulle corde di una chitarra fin dalla nascita, il più
                è fatto. Il resto, lo fa il mito, quella dimensione ultraterrena dove il per sempre
                è un tempo concesso a pochi, e dove le opere danno al suo creatore un ultra-tem-
                po. E così accade che il giorno di quella nascita, si può anche dire, "oggi compie
                70 anni" e non "avrebbe compiuto 70 anni". L'eterno musicante, il nostro “ma-
                scalzone latino”, nato in una ter-ra che dal mito di Partenope in poi, ha dato i
                natali a coloro che dal suo canto hanno tratto linfa vitale. Già, il canto, nella
                lingua napoletana, non soltanto un dialetto. Ed in quel crogiolo di culture, in-
                contri, lingue e suoni, che è Napoli, Giuseppe detto Pino, comincia a forgiare la
                sua arte appena dodicenne con l'acquisto della prima chitarra elettrica, entran-
                do in quel luogo che per lui è un santuario laico, ovvero il negozio di strumenti
                musi-cali,  e  dal  quale  non  si  separerà  mai  più,  anche  quando  le  sue  amate
                chi-tarre diventeranno tante e sempre più preziose. Non un bambino al quale
                hanno regalato il suo primo giocattolo, o un ragazzo che ha avuto il suo primo
                motorino, ma l'eterno " guaglione " in contemplazione davanti a ciò che sarà la
                sua unica indissolubile compagna di vita. Una vita che partendo da Napoli e
                dall'amore per quello strumento, lo ha condotto per le strade musicali del mon-
                do, elaborando quella fusione uni-ca di suoni, definita in modi diversi ma tutti
                riconducibili alla matrice della tradizione melodica della canzone classica na-
                poletana. Con il mar Mediterraneo a far da cornice con quei suoni nuovi prove-
                nienti dall'America, il blues in primis, e non solo. I primi anni Settanta lo vedo-
                no coinvolto in pie-no in quel fermento culturale che avvolgeva la città con la
                formazione dei primi gruppi e l'esercizio dell'antica gavetta, utile a dargli quel-
                le indicazioni giuste su come strutturare una canzone. Ed è la buona incoscien-
                za che il talento conduce per mano, a fargli comporre i primi dischi, "Terra
                mia" del 1977 e "Pino Daniele" del 1979 che conteneva una delle sue prime
                canzoni divenute manifesto per più di una generazione, “Je so' pazzo" ed il suo
                grido liberatorio da poter lanciare senza timore, perché Masaniello è tornato,
                Masaniello è cresciuto. Certo, prima ce n'era stata un'altra, che sa-rebbe entra-
                ta a pieno titolo nel repertorio classico. Ma Napoli non poteva restare solo una
                carta sporca, Napoli sarebbe diventata contaminazione di suoni e stili anche
                grazie ad altri importanti artisti che avrebbero percorso una nuova strada,
                ognuno con il proprio personale modo, affrancandosi così dalla sola melodia
                pura e dal sole mare pizza e mandolino. Gli stereo-tipi vengono spazzati via dal
                vento del "Neapolitan power" ed il nostro Pino ne è pienamente consapevole ed
                artefice. Il blues ed il soul americano cominciavano ad avere nuove coordinate,
                la poesia di Raffaele Viviani e Salvatore Di Giacomo si bagna di altre acque,
                acque già portate dalla guerra con i dischi dei militari angloamericani. Dal sen-
                so ironico di “Tu vuo' fa' l’americano“ di Renato Carosone, si passa a quello di
                una intera gene-razione di nuovi musicisti che contribuiscono a rendere quell'an-
                tica fucina musicale ancora più ricca. Ed ecco allora che Pino sforna (ed è pro-
                prio il caso di dirlo trovandoci a Napoli) "Nero a metà", il disco della consacra-


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