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EDITORIALE                                 Luciano Zampini




               L’UMILTÀ

               La parola umiltà deriva dal latino “humilis”, termine che indica non solo colui che è umile ma che
               rimanda anche a qualcosa di proveniente dal basso, dalla terra, dalla fertilità della terra. Questa

               etimologia induce ad ipotizzare che l’umiltà possa quindi essere un atteggiamento da coltivare

               in quanto potenzialmente molto fertile. Tale possibilità interpretativa del termine pare trovare
               una conferma nella storia del pensiero, non solo occidentale, in cui l’umiltà è considerata una

               virtù decisamente positiva. Ciò è evidente nell’Antica Grecia o nel Cristianesimo, per rimanere

               in Occidente, o nel pensiero taoista spostandoci verso Oriente: Socrate, per esempio, coltivava
               la sapienza riconoscendo con umiltà il suo non sapere per poi trasformarlo nel suo inesauribile

 pag. 28 i laboratori di noiqui  metodo dialettico fonte di nuovo sapere; Gesù si autodefinisce, nel vangelo di Matteo, “umile di

               cuore”; Sant’Agostino, uno dei Padri della Chiesa, non solo dirà che “l’umiltà batte la superbia”,
               ma la collegherà direttamente al conoscere se stessi; mentre nel taoismo l’umiltà compare come

               una prerogativa dell’uomo saggio. Premesso questo si può asserire che l'umiltà è quella virtù

               grazie alla quale si è in grado di riconoscere i propri limiti. Da piccolo, la maestra mi diceva: per
               imparare devi essere umile. Da ragazzo mi confermavano: sii umile e il mondo ti sorriderà. An-

               che la fede cristiana professa umiltà. Non vi sembra che invece nella nostra cultura essa venga

 pag. 16 contest online  trascurata e vengano invece incoraggiate qualità come un alto livello di auto stima e di fiducia
               nelle proprie capacità che molto spesso sconfinano nell’arroganza?

               Secondo me c'è da fare una grandissima distinzione tra autostima e umiltà. Le persone umili

               non sono coloro che non si vantano delle loro azioni o che risaltano rispetto alla folla, ma sono
               persone che riconoscono i propri limiti cercando di superarli accettando di imparare da altri.

               Per poter ottenere questo bisogna essere ben consci delle proprie possibilità e del proprio va-

               lore quindi stimare sé stessi e amarsi.  Non significa necessariamente ergersi al di sopra di altri
               ma riconoscere a sé stessi che si è bravi in quello che si fa ... Bisogna avere la lucidità e l'onestà

               intellettuale di dire in ogni momento posso e non posso sfruttando i valori intrinsechi che ci

               vengono forniti. Prendiamo per esempio un gommone, è un “valore” durante un naufragio ma
               è un “ostacolo “se stai scalando una montagna. qui dovremmo introdurre il concetto di valori

               statici e dinamici, ma ci perderemmo nei meandri di sofisticate differenze (es. donna e l’amore

 LE ASSOCIAZIONI  per la donna). Tornando alla lucidità, può essere che, essendo coscienti dei nostri limiti, cerchia-
               mo sempre di imparare nuove cose, e tacitamente accettiamo di essere incapaci. Questo non

               è sminuire sé stessi ma è elevarsi alla consapevolezza per quello che siamo e che potremmo

               essere se… È altrettanto vero però che possiamo, modellare noi stessi, fino ad un certo punto
               se lo riteniamo utile, vantaggioso. E se questo utile, vantaggioso, sia proprio quel qualcosa che

               l'umiltà non riconosce come suo?  Personalmente non ho una risposta se non usare una parola

               impropriamente “Narcisista”. Comunque, è vero l’essere umano è dinamico, assieme ai suoi
               valori ed a tutto ciò che lo circonda, mentre l’etichetta è sempre statica e quindi male si adatta

               ad un “vivente”. L’essere invece non è né statico né dinamico “è e basta”, ma questo concetto

               non arriva alla “razionalizzazione”, se lo esprimo, se mi permetto l’estrema arroganza di parlare
               dell’essere, se violo il sacrario della conoscenza e del sapere rasentando l’assurdo, è per accen-

               dere una sfida più grande, (per chi la vuole cogliere), la comprensione cioè di ciò che ognuno di
               noi è. (i social ne sono eterni esempi di confusione razionale… e sfide irrazionali)

               La risposta a questa riflessione potrebbe essere la soluzione di tutti i nostri problemi, ma la gen-

               te non vuole sapere ciò che è, la gente vuole conoscere per avere, vuole risposte che si possano
               usare, vuole un vantaggio per se stessi. La maggior parte degli individui oggi odia restare nell’in-

               certezza, nel dubbio, nel non sapere, nel lasciarsi nell’indeterminato. È questa una caratteristica

               dell’umiltà. Perché? Perché poter convivere con l’incertezza è un grande esercizio di umiltà,
               significa riuscire ad essere così umili da poter azzittire il proprio ego dal dare sempre e inces-

               santemente dei giudizi di valore su questo o quello. C’è una bella antica leggenda di un rabbino.

               Uno studente andò da lui e disse: “Nei tempi passati vi furono uomini che videro Dio in faccia.
               Perché questo non succede più?” il rabbino rispose: “Perché oggi nessuno sa chinarsi tanto”.

               “Bisogna chinarsi un poco, per attingere l’acqua dal fiume.” (Carl Gustav Jung)
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