Page 8 - RIVISTA NOIQUI APRILE 2022
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pIERA pIsTILLI MARIA MOLLO
Non è nuovo al campo della psicologia la constatazione che in circostanze stressanti la mente subisca una sorta di bur- QUANDO POESIA E NOTE SI INCONTRANO
nout. Tra letteratura e musica, è sempre esistito un rapporto intenso, intimo.
Il burn out è descrivibile come un blocco delle normali attività che svolgiamo giornalmente. La cultura greca ce lo dice; basta pensare alla parola “mousikè” e al suo significato: poesia, musica, danza.
Tant’è che i primissimi componimenti come, ad esempio, l’Iliade e l’Odissea, venivano divulgati oralmente dai cantori,
Nel caso di uno scrittore, ad esempio, parliamo di blocco dello scrittore.
Se valutiamo gli ultimi tre anni di vita in cui ognuno di noi si è ritrovato a resistere ai vari stress economici e ed emotivi che si spostavano da luogo a luogo. Volendo restare nel Medioevo della nostra Italia, non possiamo ignorare il poema di
Dante Alighieri: la narrativa è rafforzata dal sonoro e dal visivo. E, così, troviamo il gigante Nembroth col suono assor-
legati alla pandemia e al clima di guerra ad essa succeduto, possiamo ben descrivere una complicazione dello stato emoti- dante del suo corno. Le sole voci udibili, sono i pianti e le grida dei dannati. Nel Paradiso, si odono canti e suoni talmente
vo legato a tanta instabilità, che a lungo andare provoca nel comune sentire la consistente perdita delle convinzioni pree- soavi, da rendere difficile la loro descrizione. Il poetare di Dante, le metafore che usa, richiamano un canto musicale.
sistenti e la ricerca di nuove prospettive a cui legarsi. Anche i poemi classici come, ad esempio, “Chanson de geste”, le ballate medievali e i poemi cavallereschi, sottolineano il
Certo l’instabilità economica, già di per sé, porta a atteggiamenti estremamente diversi e paranoici nei confronti di coloro legame profondo tra letteratura e musica. Il ventesimo secolo, vede la nascita di generi musicali popolari: “Sympathi for
che non fanno parte della nostra schiera di riferimento, poi il clima di guerra mondiale che si profila da più di un mese,
ha sicuramente inasprito tale incertezza. the Devil”, dei Rolling Stones, ha come protagonista Lucifero che canta con la voce di Mick Jagger ed è rappresentato
come un signore dell’alta società. Al poeta francese Baudelaire, si è ispirato Franco
Se da un lato le generazioni dei primi del Novecento avevano in qualche modo la consapevolezza di ciò che significava Battiato in “Invito al viaggio”, tratto dall’omonima poesia contenuta ne “I fiori del
Male”. Tantissime canzoni, hanno preso spunto da opere letterarie. A volte, pro-
una guerra, oggi appare essenziale, rammentare che un lungo periodo di pace, che ha favorito la crescita di alcuni aspetti prio i cantanti, si dedicano alla stesura di un libro. Ricordiamo Boris Vian, scrittore,
sociali, ha inasprito in parte il nostro atteggiamento egocentrico di ricerca del piacere. paroliere, drammaturgo, poeta, trombettista e traduttore francese. Oppure Emidio
Tale ricerca, che è passata attraverso la contestazione dei valori morali storico, si è via Via, svelata come una dipendenza,
caratteristica della natura umana, a autocelebrare i propri risultati e a porsi come centro di ogni universo possibile. Clementi, fondatore e principale autore dei “Massimo Volume”, è anche uno scrit-
tore. Non da ultimo, il contemporaneo Marco Di Stefano: attore, regista di cinema
Seppur molto si è fatto per la tutela dei diritti umani, non possiamo nascondere che dietro questi grandi cambiamenti e teatro internazionale. Docente di teatro e comunicazione, musicista e poeta. Uno
sociali, nel suo piccolo spazio personale, ogni persona ha stabilito una sempre maggiore individualità rispetto alla coope- dei suoi spettacoli, è basato sulle favole di Jean de La Fontaine. Inoltre ha registrato
razione che aveva caratterizzato le società precedenti. programmi di poesie e racconti per la radio e la televisione. Dirige il Teatro della
Segno di tale andamento può essere la individuazione anche a livello aziendale di sempre maggiori obiettivi di standard Comunità con Tanya Khabarova: oltre 80 le produzioni, in 18 paesi del mondo,
per i manager, che in parte favoriscono la cooperazione di facciata a vantaggio della speculazione per motivi personali
donando musicalità alla poesia, flusso sonoro provocato dalle parole usate.
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IL MALE NELLA CULTURA EBRAICO-CRISTIANA.
“Signore ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte!” È il 13 mag-
gio 1978, qualche giorno prima è stato ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro, assassinato dalle Brigate Rosse. Sono
parole dure, strazianti, pronunciate da Paolo VI con la melodiosa cadenza del grande carisma della sua voce. Ma sono
anche parole rivoluzionarie, che sottintendono un concetto di un Dio che va oltre la visione del Dio cristiano, come bene
assoluto, un Dio non solo della vita, ma anche della morte. D’altra parte, nella cultura giudaico-cristiana la storia dell’uomo
nasce col male, con un atto di disobbedienza che lo segna per sempre come Peccato Originale e poi, subito dopo, con un
omicidio “Mentre erano in campagna Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise” (Genesi 4,8). In seguito, la
Bibbia è piena di riferimenti a delitti e nefandezze dell’uomo, fino ad arrivare all’uccisione del Figlio di Dio. Da qui scatu-
riscono le domande di fondo che nel corso dei secoli si è posto il Cristianesimo, e anche le altre due religioni monoteiste e
creazioniste, quali l’Ebraismo e l’Islam: se Dio è onnipotente, onnisciente e bontà infinita, creatore di tutte le cose visibili
e invisibili, come fa ad esistere il male?
Secondo la logica dell’onnipotenza già nel Vecchio Testamento si afferma che sia il bene che il male sono stati creati da
Dio (Isaia 45,7) e non può essere altrimenti, a meno che non si voglia limitare l’opera Sua, escludendola da una parte del-
la Creazione, il che sarebbe una contraddizione nella definizione stessa di Dio. Infatti, una visione dualistica, per cui nel
mondo vi sono due principi, quello positivo e quello negativo, salverebbe la bontà di Dio, ma ne indebolirebbe l’onnipo-
tenza. Tuttavia, il pensiero dei Padri della Chiesa è molto diverso. Tra essi spicca la tesi di Sant’Agostino di Ippona (354
- 430) che considera il male come la privazione del bene (privatio boni) e come tale non lo ritiene frutto della creazione.
Sulla stessa linea San Tommaso D’Aquino (1225 – 1274), per cui Dio non è causa del male in quanto ciò può avvenire solo
in due casi, se si pecca o se si spinge a peccare. Nessuna di queste due azioni può nascere da Dio. Anche da parte Prote-
stante Martin Lutero e Giovanni Calvino ritengono il male come una conseguenza della caduta dell’uomo e del peccato
originale. Tuttavia, a causa della fede nella predestinazione, della giustificazione per grazia e dell’onnipotenza, la caduta fa
parte del piano di Dio. La teologa statunitense Mary Baker Eddy (1821 – 1910), considera invece il male come un’illusione,
perché Dio è infinitamente buono.
Ma veniamo a considerare l’altro aspetto del problema, ossia qual è la finalità del male. Abbiamo già visto come nella
cultura giudaico-cristiana il mondo è corrotto a causa del peccato che è la conseguenza del libero arbitrio che Dio ha
dato all’uomo, e la libertà si può avere solo davanti a una scelta tra una condotta ispirata all’amore verso il prossimo o il
comportamento opposto. Per quanto riguarda il significato e la funzionalità del male Ireneo di Lione (130 – 202) riassume
bene l’altro aspetto della visione cristiana secondo cui la sofferenza è necessaria per la crescita spirituale e per la matura-
zione. In altri termini è il percorso verso il bene.
Tuttavia, questa tesi ha un valore assai limitato, non risolvendo tutta la problematica di fondo. In altri termini può fornire
una spiegazione del male fatto, ma non di quello subito, quello innocente. Penso ad esempio alla tragedia dei bambini che
subiscono la violenza della guerra, solo per citare un aspetto della bruciante attualità. Inoltre, secondo la logica della giu-
stizia divina ci si aspetterebbe che un comportamento volto al bene sia meritevole di premiazione, il che in realtà apparen-
temente non avviene quasi mai, per lo meno sulla Terra. Troviamo un esempio classico nel Libro di Giobbe, che dimostra
l’assenza di una correlazione fra il comportamento positivo e il premio, in pratica l’assenza di una giustizia retributiva.
Infatti, Giobbe è un uomo giusto che si sforza di non fare nulla di male, un comportamento totalmente volto al bene. Da
tale condotta ineccepibile ci si aspetterebbe una vita felice, invece no, accade tutto l’opposto. Giobbe subisce un’infinità
di sofferenze e di disgrazie, sia fisiche che familiari, gli muoiono dieci figli. Nell’ambito dell’idea di una giustizia retributiva
i suoi tre amici, esponenti del pensiero teologico ortodosso, ritengono che egli abbia fatto qualcosa di male per meritare
simili castighi. È la legge della causa-effetto, del razionalismo per cui al delitto segue il castigo o, se volete, del fatto che
la sofferenza è conseguenza del comportamento malvagio. In questa discussione interviene un quarto amico, Elihu che
afferma che Dio è giusto e buono, ma che il suo operato sfugge alla comprensione umana. Penso che questa concezione
possa estendersi a tutti i misteri della vita e dell’esistenza, all’inconoscibile nel quale l’uomo è immerso e che deve venire
accettato a prescindere dell’essere credente o agnostico.
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