Page 92 - RIVISTA NOIQUI APRILE 2023
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lettuali definiti “eretici” come Pier Paolo Pasolini. Ci si chiede come sia possibile, con tante
TRA GIANO E ULISSE: altre sale libere e a disposizione in paese e pur con tutto il rispetto per i Testimoni di Geova, che
LA SICILIA, TERRA POLIMORFA. sia stata attuata una scelta così bizzarra tanto da suscitare la protesta forte da parte della testata
giornalistica di Racalmuto “Malgrado Tutto” fondata nel 1980. La rivista letteraria fin dalla sua
La nostra terra è figlia di grandi Padri, eppure spesso con rammarico noi siciliani non siamo prima pubblicazione ha avuto la preziosa firma di Sciascia. Chissà adesso cosa ne avrebbero a
figli grati. Indolenza abulica tipica del nostro popolo che purtroppo sconfina spesso nella in- dire Camilleri e Sciascia a riguardo. Le vicende che lasciano davvero l’amaro in bocca sono og-
gratitudine. E davanti l’ingratitudine gli intellettuali non possono tacere. Giorni fa mi sono getto della mia più profonda riflessione perché mettono in luce due volti speculari ed ossimori-
imbattuta in un articolo che riguarda due esempi di mancata riconoscenza nei confronti di due ci del nostro popolo. I Siciliani sono allo stesso tempo, profondamente ospitali e accoglienti e
grandi scrittori siciliani. Un evento alquanto triste riguarda il nostro Camilleri, letto e tradotto ferocemente ingrati. Come le porte del tempio di Giano. Giano è una delle divinità più antiche
in tutto il mondo, un altro il nostro Sciascia. Andrea Camilleri aveva autorizzato il comune di e importanti della religione latina. Il Dio è raffigurato proprio con due volti, può guardare al
Porto Empedocle in provincia di Agrigento, ad utilizzare il nome di Vigata accanto a quello futuro e al passato. Il Giano bifronte è il Dio del passaggio e della transizione che può condur-
originale. Il documento in cui il grande scrittore aveva compiuto questo gesto simbolico ma re dalla pace alla guerra. “Ianua” infatti in latino significa porta. Un Dio dunque legato ad una
di grande generosità nei confronti della sua terra, è stato trovato di recente in una discarica ad doppia e ossimorica valenza. Ricordiamo che le porte del tempio di Giano, venivano aperte o
Aragona nell’area di stoccaggio. Lì tra le montagne di immondizia giaceva un dono di sacra chiuse a seconda che vi fosse guerra o pace. Le porte si spalancavano in tempo di guerra e nel
bellezza. Ragion per cui, l’attuale Sindaco di Porto Empedocle, Calogero Martello ha aperto tempio del Dio si compivano spesso sacrifici affinchè si potessero avere vaticini sulla riuscita
una indagine- inchiesta per scoprire chi ha sottratto dagli archivi comunali il documento con delle imprese militari e potesse tornare la pace. I Siciliani dunque hanno questi due volti assolu-
il quale Camilleri aveva voluto rendere omaggio alla sua città riconoscendola come Vigata, tamente inscindibili. Spesso ingrati e quasi blasfemi nei confronti dei loro stessi figli, per invidia,
immaginario paese siciliano, in cui sono ambientate le vicende del commissario Montalbano. gelosia, competitività, serrano le porte all’accoglienza, all’ospitalità, alla cura dell’altro portatore
Fin qui, cronaca amara che lascia alquanto perplessi su come sia possibile trasformare un ge- di bellezza e poi sono altresì profondamente ospitali nei confronti degli stranieri. Le vicende dei
sto di bellezza generosa in un vero e proprio sfregio che lascia senza parole. Ovvero le parole nostri due scrittori, Camilleri e Sciascia, credo ne siano buon esempio. Non occorre certo citare
mi giungono spontanee da una riflessione profonda. Ma noi Siciliani non siamo figli dei Gre- la vicenda di Luigi Pirandello le cui ceneri rientrarono in terra sicula dopo ben venti anni e con
ci? In Sicilia non restano impresse le loro orme e tracce di maestosa e insuperabile meraviglia? il vescovo che non volle dare alcuna benedizione. Pirandello, dunque, il nostro Premio Nobel
La loro eredità culturale in tutte le più variegate espressioni? Dalla poesia, al teatro, dalla ar- per la Letteratura nel 1934, piuttosto che essere accolto in maniera trionfale nella sua Sicilia,
chitettura, all’arte del pensiero profondo e speculativo? Non alberga qui, tra le nostre vie, i venne sospeso in un limbo temporale di più di due decenni per tornare a casa. Insomma anche
nostri paesini, tra scirocco e fichi d’india, tra sole e macchia mediterranea, tra ulivi e colonne lui come Ulisse approdò nella sua Itaca dopo un ventennio di traversie. Da intellettuale non è
dei loro templi, il loro respiro?... E presso i Greci l’ospitalità non era sacra? Aveva un nome possibile non restare tristemente amareggiata e non pensare a quella tanto diffusa espressione:
ben preciso, ovvero Xenia. Era una azione sacra e consisteva nel rispetto reciproco tra chi “Nemo profeta in patria est”. Frase presente nei Vangeli riferita a Gesù che così stigmatizzò la
ospitava e l’ospite che veniva accolto e trattato con ogni riguardo e cura. Al momento del fredda accoglienza dei suoi conterranei a Nazareth. Quindi, difficilmente nella propria terra a
congedo, l’ospite riceveva perfino un dono da portare con sé che siglava un sigillo di apparte- cui si dona l’anima, i propri talenti e risorse, si possono vedere riconosciuti i propri meriti, il
nenza tra l’ospitante e colui che veniva ospitato. Ancora di più, i Greci credevano che nell’o- proprio lavoro, la propria bellezza? E la soluzione davanti a tanto livore, ingratitudine, invidia
spite, chiunque esso fosse, un uomo ricco o povero, potesse celarsi un Dio travestito da uomo sarebbe arrendersi e cercare successo lontano dal proprio paese? Resta questione aperta e pro-
che avrebbe “testato” l’ospitalità del padrone di casa. Nel caso in cui l’ospite fosse stato trat- blematica. Certo è che molti dei nostri figli siculi, giunti al muro della resa, colpiti e perseguitati
tato male, gli dei dell’Olimpo si sarebbero accaniti contro quella famiglia. La Xenia dunque era da invidie e cattiverie, maldicenze e gogne mediatiche, fanno fagotto ed espatriano, lasciando un
un vero e proprio rituale religioso, per cui ogni buon greco non poteva dissacrarlo. L’ospitali- vuoto incolmabile di talento, passione, tenacia e sacra bellezza, nella nostra Sicilia. Giungono
tà era un segno di civiltà, era indice di un codice morale che non poteva essere tradito. La altrove in qualsiasi parte o d’ Italia o del mondo e per tutti loro fioccano riconoscimenti impor-
cultura greca ci consegna l’ospite per eccellenza, colui che peregrino per dieci anni varca spes- tanti, gratificazioni, premi significativi, gratitudine. Non mi rassegno al doppio volto dei Sicilia-
so come supplice e mendicante le soglie di diversi popoli: Ulisse, l’eroe astuto e perseguitato, ni, alla loro propensione naturale all’ospitalità da degni figli dei Greci e alla loro innaturale in-
l’eroe di Itaca a cui tende sempre senza resa ma che deve sopportare grandi sofferenze e pro- gratitudine per i loro figli illustri che cercano di creare bellezza, di cambiare il sistema, di
ve. Eroe che subisce vendette da parte di un fato avverso e spesso ingiusto. Ulisse si ritrova generare cambiamento. Non posso rassegnarmi né da scrittrice che prende posizione, né da
spesso ad essere “ospite” e ad esempio presso i Feaci, viene accolto con ogni riguardo e cura. docente che insegna la resistenza ad oltranza e il lessico del coraggio ai propri alunni. Non mi
Sì, siamo figli dei Greci e ben sappiamo quanto sia grande il senso di accoglienza e ospitalità rassegno da donna che promuove la cultura come l’unica vera forma di antimafia per sfaldare
di cui noi Siciliani siamo capaci. Nella nostra terra non si risparmiano dialoghi intensi, abbrac- quello stato di rassegnazione, abulia, omertà e collusione. Certo restano emblematiche le vicen-
ci, inviti generosi, affettuose offerte di cibo, vino, dolci verso chi giunge da fuori. Nelle nostre de dei nostri due scrittori e resta emblematico il destino di molti nostri figli. Ma se la resa è l’u-
vene, dunque, ancora scorre sangue greco. Verso lo straniero, scatta in automatico, quel senso nica scelta, la Sicilia è destinata a divenire sempre più un buco nero che risucchia e tritura tutto,
di accoglienza protettiva, di aiuto solidale, di disponibilità. L’ altra vicenda amara di queste sacrificando sull’altare delle colpe e delle invidie la bellezza, madre indiscussa e rotta di vita di
ultime settimane riguarda Leonardo Sciascia e il suo paesino, un piccolo borgo dell’entroterra chiunque desideri dare un senso al suo umano esistere. Bisogna ravvedersi in tempo, fermarsi
Siciliano, Racalmuto. Ecco un’altra storia di profonda ingratitudine nei confronti di uno degli appena un attimo in più sulla soglia di quel famigerato tempio del Dio Giano bifronte. I Sicilia-
intellettuali più illustri della nostra Sicilia e non solo. Presso la Fondazione Sciascia è stato de- ni imparino l’accoglienza, la gratitudine, la riconoscenza, la fatica infinita di chi fa cultura in
ciso di far entrare una congregazione religiosa, nello specifico i Testimoni di Geova per la questa terra, senza fondi economici, senza aiuto alcuno, senza mani che si tendono generose.
commemorazione della morte di Gesù, durante la settimana pasquale. La Fondazione Sciascia Chi fa cultura oggi in questa meravigliosa e feroce terra è il vero straniero. E’ ospite sacro. Poi-
è sempre stata sede di mostre, convegni, incontri letterari di grande respiro, dedicati ad intel- ché non riusciamo a riconoscerlo come fratello, figlio, sangue delle nostre vene, almeno provia-
mo a trattarlo come l’ospite dei nostri padri Greci. Non massacriamo la Bellezza. E’ madre
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