Page 12 - RIVISTA NOIQUI DICEMBRE 2023

bruno brundisini
IL FEMMINICIDIO
Con l’espressione “violenza di genere” si intendono le manifestazioni di aggressività eser-
citate dall’uomo nei confronti della donna, sulla base della differenza tra i due sessi. In
questa definizione, assai generica, rientrano molteplici forme di abuso che vanno dalla vio-
lenza psicologica, quale lo stalking, le umiliazioni, a quella sessuale, come lo stupro, fino a
quella estrema del femminicidio. In genere l’uccisione è preceduta da numerosi episodi di
abuso psicologico e fisico che molto spesso non vengono denunciati per paura o vergogna,
oppure vengono sottovalutati dalle istituzioni che, appena chiamate, dovrebbero interve-
nire. Si tratta di un fenomeno che all’inizio la donna può ritenere “normale” e che procede
sottotraccia, in un crescendo, fino a concludersi col tragico evento. In altri casi, come ha
postulato la psicologa americana Lenore Walker la violenza ha un carattere ciclico, dove si
alterna la fase attiva (active batteria incidents) alla fase della contrizione amorosa (loving
contrition) detta anche “luna di miele”, in cui il partner si dimostra dispiaciuto e pieno di
attenzioni e promette che non si comporterà più in modo violento. Questa fase di quie-
te e pentimento può essere voluta per finalità manipolatorie, oppure essere involontaria,
esprimendo una vera instabilità emotiva. In entrambi i casi questo comportamento ciclico
è senz’altro più pericoloso rispetto a un atteggiamento di violenza continua e crescente,
che genera allarme. Infatti, la fase di quiete può avere un effetto rassicurante sulla donna e
smorzarne la rabbia, spingendola a ripensamenti, per esempio, a recedere da una separa-
zione già programmata, per poi nuovamente farla precipitare nella violenza dei maltratta-
menti.
È questa l’impostazione di un conflitto assai rozzo e colmo di squallore, che rientra in
una concezione del rapporto a due definito in modo improprio di tipo patriarcale. Tale
descrizione, oltre ad essere estremamente generica e applicabile a tante altre situazioni di
rapporti tra le persone che non rientrano nella violenza di genere, non tiene conto degli
approfondimenti psicologici che portano al femminicidio, a prescindere dalle influenze
del contesto culturale e sociale.
Infatti, spesso la violenza di genere e l’omicidio hanno la loro origine in un grave distur-
bo narcisistico della personalità dell’uomo, che purtroppo viene spesso misconosciuto e
nascosto. Per comprendere il meccanismo di questa patologia dobbiamo fare riferimento
agli studi di Heinz Kohut, che è considerato il caposcuola della psicoanalisi del Sé. Kohut
parla di uno stadio fisiologico di narcisismo primario del bambino, in cui egli non è ancora
capace di entrare in relazione con l’altro e quindi indirizza a sé la funzione libidica. Soltan-
to dopo aver superato il complesso di Edipo il bambino potrà effettuare un investimento
pulsionale su un oggetto esterno, il cosiddetto “oggetto d’amore”, con richiesta di empatia
da parte dei genitori. Se quest’ultima manca, egli tenderà a reinvestire l’energia libidica di
nuovo su se stesso. In questo caso si genererà il narcisismo secondario che, a differenza di
quello primario, è patologico. Invece una buona empatia da parte dei genitori renderà il
bambino capace di tollerare le frustrazioni e permetterà un progressivo ritiro degli investi-
menti narcisistici primari con lo sviluppo di strutture interne proprie, che hanno la funzio-
ne di regolamento delle emozioni e di adattamento all’ambiente. Quando il rapporto tra il
bambino ed i genitori non è empatico, lo sviluppo non si completa, per cui i bisogni espres-
si dal bambino rimangono di tipo arcaico ed egli sarà alla continua ricerca del sé. Pertanto,
da adulto, sarà alla ricerca di qualcuno capace di fornirgli un rispecchiamento della pro-
pria grandiosità. Potrà trovare l’immagine del sé in un rapporto incestuoso di fantasia con
la madre, idealizzando in lei la figura della donna perfetta. Nel passo successivo si avrà la
traslazione dell’investimento pulsionale dalla figura materna a quella di un’altra donna, la
sua compagna o moglie o fidanzata. L’individuo, già carico della complessità del disturbo
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narcisistico, vivrà l’esperienza del rapporto duale in maniera totalizzante e sconvolgente.
Cercherà nella donna uno specchio dell’immagine di quel sé perfetto che non trova. Il
meccanismo psicologico è questo: io ti amo perché vorrei essere come te, ma nel momento
in cui non riesco ad essere come te ti odio e ti uccido. Già Platone diceva che l’esperienza
umana dell’amore è la più potente delle follie. Nell’innamoramento si entra in una condizio-
ne di trance, di rottura degli equilibri e dei codici. L’amore, come dice Recalcati, non è solo
ritrovarsi, ma anche perdersi nell’assenza di confini. Si vive la paura dell’abbandono e dello
smarrimento e per questo si vuole costruire una coppia il cui legame escluda la possibilità
di una separazione, poiché non si è in grado di accettare la propria solitudine. Ci si incontra
per caso, ma si vuole rimanere uniti per sempre. Ciò comporta la richiesta di rinunciare
alla propria libertà. Qui troviamo il paradosso fondamentale dell’amore: “Io voglio che tu
sia mia, che tu sia prigioniera, ma non voglio che tu sia mia perché ti tengo in prigione, ma
perché lo desideri, quindi “libertà prigioniera” (Recalcati). Oltre a questo, c’è un altro para-
dosso dell’amore che è l’incompatibilità di fondo tra le dinamiche del desiderio e la costan-
za della presenza dell’oggetto che si desidera, cioè la sua familiarizzazione, che tende a can-
cellarne la carica erotica. È quella che Adorno chiama “intimità alienante”. Si cerca quello
che è difficile avere e che, quando si ha, non viene più cercato. Il desiderio si regge su un
equilibrio difficile fra assenza e presenza, tra conoscenza e mistero. Anche a livello sociale
l’incontro del genere umano con la femminilità è problematico e, come dice Freud, avviene
con il rifiuto. Ciò perché la donna ha sempre rappresentato un mistero, una inconoscibilità,
una singolarità, a differenza del maschile che è invece identità collettiva con un suo mo-
dello nella divisa, ad esempio nella uniformità dell’abbigliamento. Pertanto, la femminilità
è confronto con l’eteros e con la libertà. Sono molteplici i modi con cui a livello sociale si
è cercato di incappucciare la femminilità uccidendone l’eteros. Tra questi abbiamo l’im-
magine della donna vista solo nella
maternità o, al contrario, come sem-
plice oggetto del godimento o come
proprietà, incorporata nel fantasma
maschile. Purtroppo, in alcuni casi
l’impadronirsi della libertà avviene
con la violenza e con la morte.
Bruno Brundisini
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