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RAFFAELE gRAnATO




                IL GRANDE STILE E LA LETTERATURA MODERNA


                Claudio Magris, scrittore e studioso della letteratura mitteleuropea, racconta nel suo volume
                L’anello di Clarisse, la temperie culturale del secondo Ottocento, la quale si presenta come un

                vorticoso caos artistico, multiforme, frammentario. La sua analisi verte sulla labilità dell’esi-

                stenza e come essa figura nelle opere degli scrittori di quel periodo: Hofmannsthal, Jacobsen,
                Ibsen, Musil, Svevo. Il primo saggio, intitolato Grande stile e totalità, introduce il divario che

                separa gli artisti dell’esistenzialismo, dalla purezza e chiarezza della forma d’arte, resa appun-

                to universale ed inequivocabile da tali peculiarità imprescindibili, la quale, nell’Ottocento, è
                ormai remota ed equivocata dal contenuto della forma stessa. Quella forma sancita come

                esempio di una bellezza senza tempo, rappresenta il grande stile, il quale «consiste – spiega

                Magris – nella capacità di avvertire la vita quale totalità, il cui senso è immanente agli eventi
                grandiosi come a quelli minimi del quotidiano (…) ogni dettaglio anche il più spicciolo, assu-

                me un senso inconfondibile, non perché venga assolutizzato nella sua irriducibile alterità, ma
                in quanto è pervaso da un’universalità che traspare in quel dettaglio e lo connette in un Tutto

                significativo». Con l’avvento del pensiero nichilista l’immagine vivida e chiara del grande stile,

                si è dissolta in quella sfuocata ed umbratile dell’individuo moderno. Costui vive come un lupo
                rintanato nel sottosuolo della sua coscienza. Sono gli eroi di Ibsen e di Dostoevskij, costretti

                a guardare le ombre del loro destino: l’isolamento volontario rappresenta l’avversità covata

                contro una società progressista che li ha esclusi, e di cui non fanno altro che metterne alla
                berlina gli ideali.

                Nel 1888 Nietzsche annuncia nel Caso Wagner che la vita non risiede più in una unità, in una

                organicità che fa di essa un’esperienza totale e conchiusa in se stessa. La totalità lascia spazio
                alla disorganicità. L’uomo non è più un’entità integra; il suo io non è più una unità indistin-

                guibile, ma una moltitudine di componenti distinguibili che vagano in uno spazio infinito e

                indefinito. È il cosmo dell’anarchia degli atomi, come lo descrive Nietzsche, dal quale nasce
                l’oltreuomo, l’uomo libero dai rigidi confini dell’io umanistico. Se Adorno e Horkheimer ve-

                devano in Odisseo il paradigma dell’io occidentale, che costruisce la sua identità e quella di

                Itaca rinunciando al caos della tentazione di Calipso, Nietzsche capta l’inversione di questo
                processo nell’ io dionisiaco. Secondo Hegel, invece, quell’ antica condizione poetica del vivere

                in armonia con sé stessi, una vita unitaria, svanisce nella moderna età del lavoro, dove l’indivi-

                duo rinuncia, inconsapevolmente, alla formazione umanistica della sua personalità, in quanto
                forzato ad adeguarsi al progresso sociale che esige la riduzione del suo sviluppo personale a

                favore della sua specializzazione professionale.

                Il capitalista sferza all’individuo il colpo di grazia, causandogli quella strana sensazione di
                estraneità dovuta alla miriade di frammenti sparsi della sua individualità. Non riconoscendo

                più come integra la propria immagine, l’individuo si ammala.
                La letteratura moderna di fine Ottocento mette a fuoco – come ad un microscopio – ogni sin-

                gola particella di questo io scisso, le cui parti, come mine vaganti, costituiscono la coscienza

                dell’uomo nichilista che interroga, disorientato, il suo vagare senza meta. Il particolare diven-
                ta il soggetto di ogni discorso. Da questa anarchia degli atomi, provengono i personaggi di

                Kafka, risentiti con loro stessi perché incapaci di riscattarsi dal proprio risentimento. I perso-

                naggi di Strindberg, isolati nell’ universo del proprio io famelico e perverso. Il Lord Chandos
                di Hofmannsthal, il quale, attratto dal demonico fondo che traspare dall’ Anadiomene, vuole

                valicare i confini della sua bellezza superficiale. Nel romanzo moderno, l ’individuo sonda i

                territori inesplorati dell’io e, nel farlo, ne cancella l’immagine.



                Raffaele Granato.













                66   periodico mensile del gruppo NOIQUI                                                                                                                                                                                            periodico mensile del gruppo NOIQUI                       67
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