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EMAnuEL FATELLO
NON È VERO, MA CI CREDO
Nel Medioevo vigeva la prassi di bruciare streghe ed eretici giudicati dal tribunale dell'In-
quisizione, il cui metro di valutazione si basava spesso sulla superstizione. Da allora sono
passati centinaia di anni, non esistono più tribunali o vittime, eppure la mentalità attua-
le presenta notevoli analogie per quanto riguarda certe argomentazioni. In tanti credono
nella superstizione e molti si affidano ad amuleti e gesti scaramantici, convinti così di sal-
vaguardarsi da mali e dalla sorte avversa. Molti sostengono di non credere in queste cose,
ma adempiono comunque tali "pratiche", quasi inconsciamente; così, hai visto mai. Come
soleva dire Eduardo de Filippo: “Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta
male”. Il primo comandamento è molto esplicito: “Non avrai altro Dio all'infuori di me”,
vietando così di adorare altre divinità: non viene quindi contemplata la superstizione, che
rappresenta, in un certo qual modo, un eccesso quasi perverso della religione; ma questa,
come la religione, fa parte di noi, da sempre e per sempre, non possiamo escluderla dal no-
stro quotidiano. L'aveva ben inquadrata Voltaire: “La superstizione sta alla religione come
l'astrologia sta all'astronomia, la figlia pazza di una madre prudente”. E così via ai gesti più
disparati, alle situazioni più grottesche: attenzione al gatto nero che attraversa la strada, non
poggiare i cappelli sul letto, non mettere il pane sulla tavola poggiato sul dorso, non passare
sotto le scale, non aprire ombrelli in casa. E si potrebbe continuare all'infinito, provando ad
evitare ogni gesto “inconsulto” quasi fosse una mina pronta ad esplodere; per non rischiare
e per non commettere errori meglio non fare più nulla, standosene sdraiati tranquillamente
nel letto, naturalmente senza adagiarsi con la testa verso l'uscita, perché porta male!
Finché queste credenze restano nel recinto di simpatiche tradizioni popolari, senza valicare
i limiti della decenza, possiamo sorriderne e rispettarle. Certi gesti antiprurito ormai con-
sueti al passaggio di carri funebri appaiono invece irriguardosi per un cristiano; oppure non
sedersi a tavola se si è in tredici, rappresenta solo mancanza di ospitalità verso gli altri com-
mensali, non condividendo il piacere della compagnia. Assurde anche le cosiddette "catene
di Sant'Antonio", con le quali si obbligano altri a perdere tempo e denaro proseguendo
assurdi giri per non incorrere in disgrazie; ognuno è libero di impegnare, o meglio sprecare,
il proprio tempo senza però coinvolgere altri, attribuendo virtù a semplici gesti o credenze
senza valore. Ogni qualvolta si divinizza ciò che non è Dio, si cade nell’idolatria, anche per
quanto concerne il campo religioso: attribuire alla sola materialità delle preghiere o dei se-
gni sacramentali la loro efficacia, prescindendo dalle disposizioni interiori che richiedono,
è cadere nella superstizione. Sarebbe riduttivo limitare la fede nei contorni di un santino,
come a voler racchiudere Dio in un pezzo di carta. Ciò che veramente conta è quello che
portiamo nei nostri cuori, è l'amore che anima le nostre intenzioni, la forza di ringraziare
anche per le avversità; non si può pensare a Dio come ad un genio della lampada da invo-
care solo Venerdì 17 o quando si rompe uno specchio, senza voler con questo nasconderci
dietro un falso bigottismo.
La superstizione deve restare una credenza sulla quale sorridere e scherzare, senza però
farne un culto; da tenere però in dovuta considerazione. Forse scherzava, ma non troppo,
Napoleone quando affermava: “Io non sono superstizioso: solamente non sfido ciò che
non conosco”.
Insomma, come a dire: non è vero, ma ci credo!
“In fondo io non credo in troppe cose:
in Dio, nella famiglia, nell’onore,
nell’amicizia vera, nell’amore;
essenze a volte liete o dolorose”
Emanuel Fatello
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