Page 75 - RIVISTA NOIQUI MARZO 2024
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riTa naPPi

  Sono nuda, nuda,

  nuda come i silenzi tra le parole d’amore

  e le mie ferite                                    Uomini senza maschera


  sono ferite d’amore, ferite d’amore …”  Sos Thurpos sono la maschera della tradizione barbaricina tipica del comune di Orotelli (Oro-


                teddi) piccolo paese che sorge al centro della Sardegna nella regione storica del Marghine, co-
                nosciuto per il suo grano. Hanno il volto annerito, indossano “su Gabbanu” un cappotto di
 Forugh non era fatta per le linee rette ma per i voli, non era stata concepita per conteggiare   orbace nero e campanacci che agitano con lo scopo di allontanare le forze del male nemiche

 numeri e per stare dentro rigide forme geometriche. Nessun poeta può farlo, nonostante le   per la buona annata agraria. I loro gesti riflettono la familiarità del rapporto uomo-animale.
 pressioni e le oppressioni. È impossibile. E se la domanda sua e mia resta: “Quanto bisogna   Solo nel 1978 grazie all’intervento dell’etnologo Raffaello Marchi (studioso di tradizioni po-

 pagare?”       polari) queste maschere cadute nel dimenticatoio sono state riscoperte e riportate in vita. La

 La risposta non può che essere: “tutto”. Bisogna essere disposti a pagare tutto di sé e della   loro nascita si fa risalire ad antichissimi riti agrari propiziatori. Solo il 22.01.1979 vi fu la loro
 propria vita. Perché tutto l’essere dei poeti è Canto. È Voce. Voce nuda ma eterna. Voce ferita ma   prima uscita. La parola Thurpos (singolare Thurpu) significa “ciechi” ma anche storpi, e sono

 voce che nutre e salva.   sprovvisti di maschera lignea a differenza di quelli presenti negli altri carnevali barbaricini. Si

 Bia Cusumano   aggirano nel paese con il volto scoperto annerito dalla cenere di sughero bruciato durante

                la vestizione. Tutti indossano lo stesso abito, su gabbanu con un cappuccio calato quasi a

                coprire gli occhi, e sopra questo, a mò di tracolla, portano delle grosse funi (su reinacru) o
                una cinta di pelle da cui pendono campanelle bronzee e campanacci dette picarolos, brunzos,

                tintinnos, metallas e grillinos. Appesa alla cima dei pantaloni portano una zucca contenente

                vino e un bicchiere ricavato da un corno di bue. Solitamente avanzano a gruppi di tre: due da-
                vanti nell’intento di trainare un aratro di legno a simboleggiare i buoi aggiogati e condotti dal

                terzo thurpu; il pastore. Oltre questo trio è possibile vedere anche su thurpu seminatore che

                sparge crusca come segno di buona fortuna e anche su thurpu maniscalco che segue la man-
                dria e mina la ferratura dei buoi. Nelle rappresentazioni carnevalesche i thurpos sbandano

                improvvisamente, investono il pubblico, tentano di catturare le persone con le funi. Chi viene

                preso dovrà ricambiare per la sua liberazione offrendo da bere. Sos thurpos si anneriscono
                reciprocamente il volto, spalmandovi sopra la fuliggine (su thinthieddu). Pantaloni indiscussi

                de “su carrasecare oroteddesu” con pantaloni “a s’isporta”, su corpette e sa zacca esos gam-

                bales (stivali di cuoio) e infine il lungo pastrano nero, usato un tempo dai pastori durante il
                periodo invernale. Il significato vero e più profondo della figura de “sos thurpos” sarebbe

                legato alla pantomima dell’eterna lotta dei contadini contro i proprietari dei campi e dei pa-

                scoli, rappresentata attraverso il capovolgimento dei ruoli tra contadino e bue. Dal capovolgi-
                meto dei ruoli si vede una temporanea rivincita dei più deboli. Scrisse degli thurpos, Salvatore

                Cambosu: “partiti a cavallo alla prima alba, imbacuccati nei loro cappotti di orbace nero, con

                i cappucci puntati e rialzati sembravano gente d’inferno. Neri anche i cavalli, finchè non fu
                come se qualcuno fosse riuscito ad incendiare a levante il bosco umido, era l’aurora”. A sfon-

                do agropastorale, il carnevale di Orotelli ripropone in chiave grottesca il capovolgimento del

                rapporto uomo-animale e la lotta dell’uomo contro la natura, con un rituale di propiziazione
                della pioggia e della fertilità della terra. Viene però letto come rappresentazione del rapporto

                proprietario terriero-braccianti. L’occasione consentiva a questi ultimi di mimare l’autorità dei

                padroni senza per una volta subire gravi conseguenze.
                                                                                                                                 Rita Nappi






























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