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aNTONELLA POLENTA







                                                        Il castello di Quarante




                                                               -Parte seconda-












                                                                                   Due occhi ha l'anima: uno guarda nel tempo

                                                                                             Ma l'altro si rivolge dritto all'eternità.

                                                                                                                          Angelus Silesius








                        A cinquant'anni dalla morte della contessa Chantilly il castello di Quarante versava in

                 condizioni pietose. All'esterno, i mattoni in pietra nascondevano il loro originario colore al di
                 sotto di un intricato arazzo di muschi, licheni e selvatici rampicanti. La torretta sul lato nord,

                 divenuta impero di tortore e colombi, risuonava come un vecchio tubo che traballa a ogni

                 scroscio d'acqua. Quella sul lato sud aveva più crepe di una corteccia d'albero. Per non par-
                 lare dell'interno dove tane di famelici roditori, grappoli di pipistrelli, penzolanti dal soffitto a

                 cassettoni, e ragnatele, che sembravano intessute con filo di nylon per quanto erano resisten-

                 ti, avevano invaso l'intera zona. La pendola in sala da pranzo, completamente ricoperta da un
                 vello muscoso, appariva come un terrificante omino venuto da un altro pianeta. Gli assi del

                 pavimento erano traballanti e la scala in legno, percorsa da profonde gallerie scavate da intre-

                 pidi tarli, risuonava vuota come una cassa armonica: sarebbe bastata una piccola vibrazione
                 per farla scomparire in un mucchietto di giallo rosume.

                        Dopo una serie di passaggi di proprietà da un discendente all'altro, il castello capitò

                 in mano a un pronipote della contessa Chantilly, un certo Alfred Prolifique, che possedeva,
                 come unica ricchezza, uno stuolo di figli. Anche lui, al pari di tutti gli altri eredi, al momento

                 del lascito aveva imprecato contro quella sventura. Avere un castello senza un becco di un

                 quattrino era da considerarsi una disgrazia paragonabile a quella di un pianista cui una tagliola
                 ha sottratto le mani.

                        Un bel giorno, per lui e la sua famiglia, la sorte decretò un cambiamento di vita. Una

                 consistente somma in denaro, vinta a una lotteria popolare, gli permise di realizzare il suo
                 sogno: vivere con la stessa dignità di un nobile. Sebbene fosse discendente di un ramo aral-

                 dico, non conservava il benché minimo residuo di nobiltà. I suoi antenati, nonché successori
                 della contessa, in un perfido gioco di accoppiamenti plebei avevano mescolato a tal punto i

                 loro geni che nelle vene dei loro figli non scorreva più del liquido blu, ma un volgare fluido

                 rossastro.
                        Rincuorato dalla vincita, Alfred Prolifique decise di dare un taglio al passato. Con la sua

                 famiglia si trasferì a Quarante, dove dette inizio a complicati lavori di restauro. Dopo due

                 anni dal suo trasferimento il castello riacquistò l'antico splendore. Restava soltanto qualche
                 piccolo ritocco all'interno e poi tutto sarebbe stato perfetto, o così credeva l'ingenuo Alfred. I

                 bambini felici scorrazzavano da una camera all'altra, cambiando ogni sera il proprio letto. Le

                 trentanove stanze disponibili offrivano a ognuno di loro (erano in tredici) la possibilità di sce-
                 gliere fra tre alternative. L'unico inconveniente era dato dalla diversa ubicazione delle stanze:

                 alcune si trovavano al pianterreno, altre al primo piano e le rimanenti al secondo. Questo

                 comportava un bel po' di disagio perché ogni sera erano costretti a trasferire il corredo da
                 notte. All'ora prestabilita, pigiami, camiciole, vestaglie, spazzolini, asciugamani e pantofole

                 svolazzavano nelle loro mani in su o in giù per la scala, creando un allegro andirivieni.





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