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RIVISTA NOIQUI FEBBRAIO 2025 https://www.youtube.com/@noiqui/featured
distruzione, la pace appare un’utopia ingiallita, schiacciata dal peso di arsenali
che nel solo 2023 hanno inghiottito oltre 2.000 miliardi di dollari, una cifra che,
se versata nel calderone dell’educazione, potrebbe riscrivere il destino di milioni
di analfabeti.
Eppure, mentre le nazioni giocano a chi accumula più scudi, dimenticano l’uni-
co seme capace di germogliare in un mondo pacificato:
la mente dell’uomo, coltivata non alla guerra, ma alla cura.
La guerra, ci ricorda Sigmund Freud, è un istinto che dorme nel profondo, un’e-
redità oscura che l’umanità si porta dietro come un’ombra cucita al tallone.
Ma se nasce nella psiche, è lì che va combattuta, non con il fragore delle bombe,
ma con il silenzio operoso di un’educazione che disinneschi l’odio prima che di-
venti azione.
Maria Montessori lo aveva compreso: educare alla pace significa costruire un
uomo nuovo, sognando aule dove i bambini non imparano a vincere sugli altri,
ma a crescere con gli altri.
Questa intuizione, semplice nella sua radicalità, si scontra con un presente che
spettacolarizza la violenza: guerre trasmesse in diretta, videogiochi che trasfor-
mano la morte in un trofeo, schermi che anestetizzano gli occhi dei più giovani
a un sangue virtuale che presto diventa reale.
Eppure, potremmo insegnare la comunicazione nonviolenta di Marshall Rosen-
berg e allora un litigio tra compagni non sarebbe più una disdetta da punire, ma
un’occasione per sedersi, guardarsi…
E così le scuole continuano a essere caserme mascherate, con banchi in fila come
soldati e programmi che celebrano le date delle battaglie, ma tacciono sulle vir-
tù della tregua.
È un sistema educativo che genera adulti che vedono nella competizione l’unico
metro della vita, e questi adulti, a loro volta, plasmano scuole che perpetuano
lo stesso errore.
La pace non è un dono, è una conquista, un lavoro paziente, come quello di un
artigiano che leviga una pietra grezza. Un percorso in cui si impara a dire “Ho
paura” invece di “Ti odio”. Un piccolo gesto, ma rivoluzionario: un seme che,
moltiplicato, potrebbe cambiare il volto del mondo.
Finché vedremo la pace come un’ingenuità, un lusso da rimandare a tempi mi-
gliori, resteremo prigionieri di un’illusione armata.
Le guerre moderne, con i loro vinti senza vincitori, dimostrano che la violenza
è un vicolo cieco.
La pedagogia della pace, al contrario, è una mappa per uscirne: forma cittadini
che pensano oltre i confini, che vedono nell’altro non un nemico, ma un riflesso
di sé. È una scienza dell’empatia, un’arte del dialogo, una strategia per soprav-
vivere in un pianeta che si regge su fili sottili.
La pedagogia della pace non è un’opzione tra tante, ma l’unica via per disinne-
scare la follia che ci abita. Come scriveva Kant, la pace va “instaurata”, e non
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