Page 103 - RIVISTA OTTOBRE 2024
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l’incarico di essere in continua apertura e ricerca, senza alcuna sottomissione ad una “semplice”

               definizione che la vorrebbe prigioniera in un significato statico, liberando il significante dalla sua

               sottomissione al significato (con le parole proprie di Zanzotto).
               Il mettersi con continuità in discussione, con l’approccio necessariamente problematico del

               poeta nel suo cogliere tutte le tensioni esistenziali, “servendosi” della nascita misteriosa nella

               quale la poesia si origina per poi dileguarsi con coscienza ed incoscienza, balbettando ed esibendo

               un’armonia che raccoglie strada facendo sempre nuovi elementi, non può essere relegato nella
               categoria dell’esercizio di stile, facendoci correre il rischio di rinunciare in partenza al tentativo di

               comprensione di profondità di senso che sono essenziali per la vita stessa della poesia, e della

               letteratura in generale. Nello specifico del Galateo in Bosco, il senso del territorio del Montello,
               per il poeta di Pieve di Soligo, gli Ossari dei caduti, l’umanità che distrugge e marchia la terra col

               sangue, determinando addirittura una lunga faglia definita per l’appunto “Linea degli Ossari”,

               una lunga ferita inferta alla terra, ai luoghi simbolo di una poesia che non può essere relegata
               nella sola definizione di poesia difficile privandoci di un significato ben più grande, un significato

               che non può che andare oltre ciò che appare “a portata di mano”. Diventano dunque necessari i

               riferimenti lessicali, la molteplicità tematica, altro che sovrastrutture e appesantimenti sintattici,
               ed è la provvisorietà del senso la massima forza di espressione, il tormento che si fa necessità di

               ricerca. L’astrazione non può essere l’etichetta da apporre con modalità frettolose da tuttologi, a

               ciò che rema contro l’ordinarietà semantica e che cerca di mascherare una frustrazione ammantata

               di “pigrizia cognitiva”.
               Per concludere, rischiando il paradosso in cotanto dire in questa parte d’universo, non sarebbe

               la soluzione migliore e concorde ai più, quella che distingue soltanto tra bella poesia e brutta poesia,

               che, se è brutta non può che essere solo una contraddizione in termini? E non credo si debbano
               ancora attendere i posteri per l’ardua sentenza.




               “Buoni ossari, tante morti fuori del qualitativo divario

                 onde si sale a sicurezza di cippo,
                 fuori del gran bidone (e la patria bidonista,

                che promette casetta e campicello

                e non li diede mai, qui santità mendica, acquista).”



























































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