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RAZIELLA DE CHIARA
nAtI A PERDERE
In un mondo che misura il valo-
re delle persone in base a risul-
tati, numeri e prestazioni, essere
“nati a perdere” può sembrare
una condanna. Ma forse è pro-
prio il contrario. Forse chi perde
o chi rifiuta di vincere sottostan-
do alle regole degli altri è l’unico
che ha intravisto la trappola.
Trappole ce ne sono molte, e
spesso, agli occhi di chi è in buo-
na fede, sembrano persino vantaggi. Ma in realtà sono studiate a tavolino da
chi, nel tentativo di raggirare gli altri, si presta a giochetti miseri che dicono
molto sul loro modo di stare al mondo.
Chi è in buona fede, e lo dico a malincuore, è privo di cattiveria e non riesce
nemmeno a immaginare fino a che punto alcune persone possano spingersi, pur
di vincere in un gioco vergognoso.
Viviamo in una società che celebra il successo come fosse una religione. “Devi
farcela”, “devi emergere”, “devi essere il migliore”. Ma cosa succede a chi non
corre, a chi non compete, a chi non vuole vincere in questo modo?
Viene ignorato, deriso, escluso. Viene chiamato perdente. Oggi diremmo che
è bullizzato: preso di mira per convenienza altrui o perché troppo scomodo.
Troppo vero per far parte del gioco.
Eppure, in questo margine esiste una forma di libertà che chi è troppo impe-
gnato a vincere forse non conoscerà mai.
La libertà: quel modo essenziale e unico di vedere oltre le apparenze; quella vo-
glia di dimenticare che esistano regole prestabilite, e provare a vivere secondo
il proprio sentire. Un sentire che mal si adatta al meccanismo che ci vuole tutti
uguali, programmati, pronti a inserirci in un mondo che sacrifica l’autenticità
sull’altare della robotizzazione, fino a generare un pensiero unico, lontano anni
luce dall’idea stessa di libertà.
Per questo mi sento di dire che essere “nati a perdere” potrebbe non essere una
sconfitta, ma un modo diverso, più dignitoso, di stare al mondo. Una scelta o
una condizione che apre alla possibilità di vivere fuori dalla gara. E forse, pro-
prio lì, si trova qualcosa di più vero.
Aggiungo, infine, che forse essere “nati a perdere” è un atto di resistenza che la
dignità umana troppo spesso dimentica di considerare.
Graziella De Chiara
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