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                     ABIANA BIA CUSUMANO



                                In oGnUno dI noI arde Un rUBedo:



                LA POESIA COME ALCHIMIA DEL DOLORE E DELLA SALVEZZA
                Nota di lettura di Bia Cusumano


                Ho letto Rubedo. Alchimie poetiche di Giulia Luppino come si leggono le
                confessioni che non si possono ignorare. Quelle che arrivano in punta di cuore
                e poi restano lì, nel punto esatto in cui la pelle si fa più sottile e il respiro più
                corto. Rubedo non è solo un titolo: è una dichiarazione di percorso, un atto
                trasformativo, una verità carnale che brucia e plasma. In alchimia, il rube-
                do è il rosso: il tempo della combustione finale, della trasfigurazione ultima.
                Nella poesia di Luppino, è il momento in cui l’amore diventa ferita, in cui il
                linguaggio si fa carne, e la carne si fa verso.
                Mi è bastato leggere i primi componimenti per rendermi conto che Rubedo
                non è una raccolta: è un viaggio di attraversamento. Un passaggio nel buio
                che non cerca luci artificiali. È l’esito poetico di chi ha scelto di non avere
                paura di guardare l’abisso, e soprattutto di guardarci dentro con la tenerez-
                za feroce di chi non si rassegna. Come scrive: “Questa poesia / non la scriverò
                / perché fa male / e brucia / solo a pensarla”. Eppure, poi la scrive. La scrive lo
                stesso. Perché il gesto della parola, in questa raccolta, non è mai estetico, ma
                sempre necessario.
                Il dolore psichico – in tutte le sue declinazioni: assenza, solitudine, perdita,
                memoria amorosa, esilio esistenziale – è il cuore pulsante del libro. Ma non è
                mai raccontato con compiacimento. È un dolore scavato, esplorato, a tratti
                sezionato con precisione chirurgica. È un dolore con dignità, con voce. Non
                viene abbellito, né nascosto dietro simbolismi oscuri: si manifesta in forme
                limpide, spesso quotidiane. Una lampada impazzita, una scarpa che si buca,
                un piatto sporco, un divano nel tramonto. Eppure, tutto vibra di profondità:
                “Ti odio / come se le mie scarpe non potessero / camminare via da te senza bucar-
                si”.
                Questa è la potenza di Luppino: rendere straordinaria la materia più fragile
                della vita ordinaria.
                Nel mondo che racconta, l’amore non salva, ma non smette mai di pretende-
                re la propria forma. È un amore presente anche quando assente, vivo anche
                quando smarrito. È una corrente sotterranea, spesso diretta a un “tu” che
                esiste solo nell’evocazione. È un’assenza che si fa presenza invasiva. Come nel
                testo “Vorrei essere per te”, dove l’amore è simultaneamente desiderio, nostal-
                gia e impossibilità: “Vorrei essere per te / esattamente e solo / tutto quello che / tu
                sei per me.”
                Ma non c’è solo l’amore mancato. C’è anche la rabbia, la lucidità che graffia,
                la ribellione dolce e dolorosa di chi ha amato troppo e ora prova a ricomporsi
                per sottrazione.
                Un tema chiave della raccolta è anche la frantumazione del tempo. Non c’è se-
                quenza, non c’è prima né dopo. Il tempo qui è un campo di battaglia emotiva,
                una torsione. Luppino lo cancella, lo distorce, lo nega: “Tempo / che non conta,
                / che non esiste / in parallelo o in serie…”. È come se il passato non passasse mai

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