Page 45 - RIVISTA NOIQUI MAGGIO 2022
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tIzIAnA DI RusCIO annA MARIA vARvARO
Isolamento: restrizioni di scambio e supporto sociale
Monopolizzazione della percezione e dell’attenzione: induzione di uno stato di iper-vigilanza verso il maltrattante e i suoi
bisogni (“coping preventivo”: modifica dei comportamenti della vittima al fine di evitare conseguenze temute)
Gaslighting: manipolazione psicologica di disconferma dell’esame di realtà e delle percezioni della vittima, spesso accu- Il 23 maggio e il 19 luglio del 1992 sono
sandola di cose sbagliate che non ha commesso due date indelebili nella memoria del no-
Alternanza di aggressioni e gratificazioni (genera confusione e false aspettative di miglioramento della relazione) stro Paese e nella memoria di ognuno di
noi, rappresentano una delle pagine più
La violenza reiterata, sia essa fisica, economica o psicologica (quest’ultima è sempre e comunque presente anche se più dolorose della storia tormentata della no-
nascosta e insidiosa), conduce ad una graduale disconnessione da sé e dalla legittimazione del proprio sentire, che vincola stra Repubblica e a distanza di trent’anni
in una condizione di passività caratterizzata da “impotenza appresa” e “paralisi traumatica”. sono una ferita ancora sanguinante. I ra-
gazzi di oggi nel 1992 ancora non erano nati, perciò ora più che
Inoltre, l’intermittenza degli abusi, ovvero l’alternanza di attacchi a momenti di apparente quiete e “gentili” promesse mai è importante coltivare la memoria di fatti e persone che hanno
innesca un vero e proprio “ciclo della violenza”, che contribuisce a far sì che la donna resti in tale relazione. Nei momen- cambiato la storia di un Paese. La Presidente Nazionale ha diramato un messaggio per sensibilizzare e sollecitare iniziative.
ti di “pausa”, infatti, può accadere che il maltrattante dichiari di sentirsi in colpa, faccia regali e affermi di aver capito, Pertanto, non potevo non dedicare una pagina a questa speciale data. La sezione FIDAPA di Partanna, che mi pregio di
alimentando la speranza illusoria che il suo comportamento cambi. La ciclicità della violenza è dunque un aspetto di cui presiedere, ha organizzato la “Fiaccolata per la legalità” che ha visto la presenza di Autorità Fidapa, civili, militari e religio-
anche gli operatori chiamati a supportare la vittima devono tener conto per non cadere anche essi nelle medesime false se, Associazioni, tanti cittadini e soprattutto ragazzi. La memoria del ricordo non deve essere fine a
attese. se stessa, la cultura della legalità deve essere modello di comportamento. Legalità intesa soprattutto
come impegno e responsabilità, essere responsabili delle proprie azioni nelle piccole cose della nostra
Proprio per questo, accompagnare una donna nel percorso di fuoriuscita dalla relazione violenta richiede una rete sociale vita quotidiana. Ecco, un piccolo gesto, di questo sono fatte le grandi cose, di tanti piccoli gesti ed è
e istituzionale multidisciplinare, che permetta di fornire accoglienza agli aspetti traumatizzati e feriti, esplorazione della proprio quello che questi nostri eroi chiedevano di fare, chiedevano a tutti di parlare di mafia, di par-
storia specifica per individuare i punti di vulnerabilità che hanno permesso tale aggancio patologico, assistenza legale, larne ovunque, ma anche di fare ciascuno la propria parte per ciò che possiamo fare, per ciò che sap-
valutazione del rischio, orientamento lavorativo e abitativo (per sostenere una progressiva autonomia). Insomma, una piamo fare. Dobbiamo offrire ai giovani ogni occasione di riflessione e i migliori ‘esempi’ di cui siamo
visione a 360 gradi che permetta di ridisegnare insieme alla persona (e lì dove ce ne sono anche per i figli), un percorso capaci, questo è stato il senso della nostra iniziativa invitarli a riflettere su temi legati alla cittadinanza
personalizzato di protezione e sostegno, di vera e propria ri-nascita. attiva e propositiva per far sì che possano diventare i cittadini partecipativi e consapevoli di domani.
Che fornisca un luogo sicuro e un tempo adeguato per poter, attraverso strumenti mirati, rileggere le dinamiche vissute,
passando da una posizione di vittima impotente ad agente attivo del proprio cambiamento, per riprendere il giusto posto
che spetta ad ogni essere umano, uomo o donna che sia, al centro della propria esistenza.
Credo inoltre, che ci sia bisogno di ripensare una pedagogia della non-violenza, che abbracci ogni età, genere, nazionalità,
appartenenza religiosa, ecc. Insomma, una visione dell’umanità e delle relazioni tra gli esseri umani che parta da un au-
tentico riconoscimento del valore unico e irripetibile di ciascun individuo. E ritengo che questo sia possibile farlo andan-
do oltre stereotipi e pregiudizi di separazione e conflitto uomo/donna che spesso inquinano la comunicazione e l’agire
anche di coloro che si occupano di contrasto della violenza. Perché la violenza non ha genere, così come non lo hanno la
dignità e il rispetto.
Un processo di pulitura dei nostri sguardi, dei nostri pensieri, delle nostre azioni dalla tentazione di separare e dividere,
dal bisogno di sentirci i migliori, i giusti, dal volere “solo per noi” qualcosa o qualcuno (sia esso un partner, un genitore,
un figlio, un amico...). Ci aspetta in questa dimensione sociale così fortemente galvanizzata dalla suggestione di poter ot-
tenere tutto e di dovere soddisfare ciascun bisogno, riempire ogni vuoto o mancanza, riappropriarci della capacità di stare
al cospetto della complessità della vita, rinunciando al dominio/controllo di qualcosa o di qualcuno per sentirci “suffi-
cientemente” forti.
È un passaggio che richiede il camminare insieme del maschile con il femminile, dell’adulto con il bambino, del simile EMANUELA LOI: prima donna a morire in servizio
Dopo 57 giorni, la strage di Capaci, moriva una donna, l’agente di scorta del giudice Paolo Borsellino: Emanuela Loi che
con il diverso, per compiere il salto individuale e collettivo dal possesso all’amore. in realtà ha fatto la storia non solo per la drammatica e tragica fine che ha fatto, ma soprattutto è stata una delle prime
Una pedagogia che educhi ogni essere umano ad amare l’altro anche quando non ci piace e non ci compiace. Con la donne che è entrata in polizia. Oggi è normale una donna in polizia ma se riportiamo le lancette dell’orologio indietro in
quegli anni non era così scontato e c’erano tanti pregiudizi che lei è riuscita a smontare diventando un esempio per i suoi
consapevolezza che questo richiede di apprendere ad amare prima di tutto se stessi, anche nelle parti più sgradevoli e più colleghi. La sua missione la sentiva nel quotidiano ed è stata un esempio per tante
scomode, passando dal senso di colpa alla responsabilità, dalla auto-punizione alla compassione, dal credere di non valere
nulla alla consapevolezza che sono le azioni di ciascun singolo a trasformare il mondo. donne che sulle sue orme sono entrate in polizia e continua a darlo ogni giorno. La
storia di questa giovane donna mi ha talmente colpita che mi ha ispirata a scrivere
E le persone come Tiziana sono quelle che il mondo lo stanno trasformando. un monologo. Nata a Sestu, mi chiamo Emanuela Loi, mi sono diplomata alle magi-
strali, con l’intenzione di fare la maestra. Prestissimo però, ho tentato la strada delle
forze dell’ordine. Il concorso in polizia lo passo subito appassionandomi sempre di
più al mio futuro lavoro.
Mizar Specchio, nata a Pescara nel 1976. Laureata in Filosofia e in Psicologia Clinica e della Salute, specializzanda in Psi-
coterapia Transpersonale e Biotransenergetica. Lavora come psicologa, conduce gruppi di crescita personale e scrittura Divento poliziotta nel 1990 e, come tutti i miei colleghi di corso, spero di venire
assegnata in Sardegna, in modo da riavvicinarmi a casa. Quando mi comunicano che
creativa. È impegnata da anni in ambito sociale ed è attualmente membro della Commissione Pari Opportunità del Co- la mia destinazione è tutt’altra, ovvero Palermo, una città che già brucia per la guerra di mafia, non la prendo benissimo,
mune di Pescara. È presidente dell’associazione Aggeo onlus e vicepresidente dell’associazione Il Nastro Rosa. ma faccio buon viso a cattivo gioco soprattutto in famiglia. Se davanti a una compagna di corso scoppio a piangere per
quella destinazione così difficile, per i miei genitori e i fratelli non ho che parole rassicuranti: “È il mio lavoro, non pos-
so tirarmi indietro”. E si parte per la Sicilia, pronta a fare il mio dovere. Certo, Palermo brucia, e ne respiro l’aria ogni
giorno, lo so meglio di chiunque altro. Un lavoro di puro servizio, un lavoro che è l’essenza del lavoro di poliziotto, ma
che, negli anni ’90, a Palermo, è uno dei lavori più rischiosi che esistano. Tra i diversi incarichi mi sono affidati i pianto-
namenti a Villa Pajno a casa dell’allora parlamentare Sergio Mattarella, la scorta alla senatrice Pina Maisano (vedova di
Libero Grassi) e il piantonamento del boss Francesco Madonia. Sono una tiratrice scelta, e finisco nel servizio di scorta.
Quando il giorno della strage di Capaci, mia madre mi chiama terrorizzata mentre assiste alle immagini che scorrono sul-
FEDERAZIONE PER LA RIVALUTAZIONE DELLE DONNE la tv, mi precipito a risponderle e la tranquillizzo in tutti i modi. Anche perché non ho raccontato a casa che ho iniziato a
lavorare nelle scorte. A un amico che impensierito mi raccomanda di stare attenta dico: «Maddai, finché non mi mettono
con Borsellino, non corro nessun rischio. Solo con lui mi possono ammazzare». Il destino mi farà incrociare la sorte con
quella del magistrato che più di tutti aveva lavorato fianco a fianco con Giovanni Falcone: Paolo Borsellino. E quando la
sorte di una scorta e di uno scortato si intrecciano, non si possono slegare più fino alla fine dell’incarico. Il giorno prima
della strage avevo la febbre e la mia famiglia mi aveva consigliato di restare a casa in malattia, Ma io non ho voluto senti-
re ragioni: “Non è giusto – ho detto – anche gli altri devono andare in ferie”. Quel giorno ho regalato l’ultimo sorriso e
l’ultimo abbraccio ai miei genitori e a mia sorella. Il 17 luglio, fui assegnata a Paolo Borsellino, che nell’incontrarmi dice:
HTTPS://WWW.FACEBOOK.COM/ASSILNASTROROSA/ «E lei dovrebbe difendere me? Dovrei essere io a difendere lei». Il primo giorno di scorta va liscio. Il secondo no. E la
fine arriva, troppo presto e nel modo più tragico. Quando l’asfalto di via D’Amelio salta in aria a morire sono io, Pao-
lo Borsellino e insieme gli altri “angeli di Borsellino”. Ho provato una mostruosa nostalgia per chi stavo lasciando, per
quello che avrei potuto fare, per tutto ciò che lasciavo in sospeso. Emanuela Loi, ero la prima donna poliziotta a cadere
ASSOCIAZIONEILNASTROROSA@GMAIL.COM in una strage di mafia nell’adempimento del proprio dovere. Avevo solo 24 anni.
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