Page 17 - RIVISTA OTTOBRE 2024
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Paolo di Tebe; poi Antonio d’Egitto, suo discepolo e fondatore del monachesimo, San Bernardo
da Norcia, fondatore del monachesimo occidentale, San Romualdo, fondatore dell’ordine dei
Camaldolesi, San Bruno da Colonia, fondatore dell’ordine dei Certosini, Celestino V e San
Guglielmo di Malavalle.
Per questi personaggi dediti alle pratiche spirituali, il deserto assume connotazioni positive,
configurandosi come luogo di rinascita spirituale ed elevazione.
Infatti, colui che lo attraversa, mentre sperimenta la solitudine e la sofferenza, ha occasione di
riflettere meglio su di sé e di attuare quel cambiamento di coscienza che gli permette di diventare
un essere migliore.
In questo senso, il deserto stimola un atteggiamento introspettivo, quasi fosse un “luogo
dell’anima”, di scoperta interiore, di comprensione che tutto nella realtà materiale è “un miraggio”
e che la nostra vita è solo un passaggio, una brevissima manifestazione in confronto all’eternità.
Alcuni popoli vedono nel deserto un luogo di indifferenziazione dove tutto è ignoto, caotico e
indistinto, in cui il progetto divino di creazione non si è ancora manifestato; oppure un posto
in cui ritirarsi per superare determinate prove e diventare più forti con l’aiuto di Dio. A tal
proposito, pensiamo ai quaranta giorni passati da Gesù nel deserto, durante i quali fu tentato
da Satana. Quaranta sono anche i giorni che Mosè trascorse sulla montagna prima di ricevere le
tavole della legge.
Per alcune persone il deserto è solo un luogo privo di vita che avvicina all'esperienza della
morte. Questo motivo è sviluppato da T.S. Eliot nel poemetto “La terra desolata” in cui essa
rappresenta sia il territorio sterile e pericoloso che i cavalieri attraversano per giungere al Graal
sia la civiltà occidentale arrivata alla parabola discendente della propria aridità di sentimenti
che si esplica nell’attuazione di stermini e guerre. Il deserto può anche rappresentare una fase
dell’esistenza durante la quale si devono fronteggiare alcuni problemi oppure si va alla ricerca di
un modo di vivere più semplice, privo di attaccamento alle cose materiali.
Nel deserto il tempo appare scandito da un ritmo diverso così da dare l’impressione di vivere in
un’altra realtà come accade nel romanzo “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati nel quale alcuni
soldati, mentre osservano dal fortino la pianura immensa e vuota che si offre al loro sguardo,
attendono che accada qualcosa che dia un senso alla loro esistenza. Talvolta, proprio la presenza
di potenziali pericoli e l’assenza di precisi punti di riferimento può consentire di vedere la vita
nella sua reale importanza e di comprendere che anche da una situazione difficile può fiorire
qualcosa di positivo, purché non ci si arrenda mai e si continui a camminare, confidando nel
proprio Sé superiore, in modo che la sofferenza si trasformi in un passaggio ricco di significato.
E, proprio nel momento in cui ci si sente soli e sperduti, può arrivare qualcuno ad aiutarci a
effettuare la “traversata” per raggiungere l’oasi dove riposare e rigenerarsi. L’oasi è la meta, il
premio per chi ha saputo lasciare alle spalle i granelli di polvere della disgregazione e ha deciso
di conseguire quell’unità bio – psichica che dovrebbe essere l’obiettivo di ogni persona.
“Dio ha creato le terre con i laghi e i fiumi perché l’uomo possa viverci.
E il deserto affinché possa ritrovare la sua anima.”
(Proverbio Tuareg)
periodico mensile del gruppo NOIQUI 17