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MARIABERNARDA MAROTTA



                    LA POETICA DI SALVATORE QUASIMODO
                                     Nato a Modica (Ragusa) nel 1901, trascorse la giovinezza in Sicilia,
                                     seguendo gli spostamenti del padre ferroviere. Non ultimò gli studi
                                     di ingegneria per le difficoltà economiche della famiglia e si impie-
                                     gò nel Genio Civile. Intanto coltivava la passione per la poesia. Nel
                                     1930 pubblicò la sua prima raccolta “Acque e terre “cui seguirono,
                                     nel 1942, “Ed è subito sera”, nel 1947, “Giorno dopo giorno “, nel
                                     1949, “La vita non è sogno” e, nel 1966, “Dare e avere”. Accanto
                                     all’opera poetica fu molto rilevante la sua attività di traduttore dei
                                     lirici greci, ma anche di Omero, di Virgilio e Catullo. Nel 1959 fu in-
                                     signito del premio Nobel per la letteratura. Mori’ a Napoli nel 1968.
                                     Salvatore Quasimodo, come del resto anche Ungaretti e Montale, è
                                     da considerarsi tra i maggiori rappresentanti della corrente poetica
                                     definita Ermetismo, per aver voluto restituire alla parola la sua ori-
                                     ginaria carica espressiva, una parola pura in cui l’attenzione è rivolta
                                     al singolo termine e al suo valore ritmico: ne scaturisce una poesia
                                     essenziale, libera più che mai da regole metriche e da collegamenti
                                     sintattici, espressione delle vibrazioni e delle intenzioni dell’animo
                    del poeta, spesso sgomento di fronte alla complessa realtà contemporanea. Dall’ide-
                    alizzazione dell’isola natale come luogo di un’esistenza felice e incontaminata, il po-
                    eta viene aprendo il suo orizzonte a tutti i problemi umani, diventando consapevole
                    della pochezza dell’uomo rispetto al cosmo infinito e allo scorrere perenne della vita.
                    “Ognuno sta solo sul cuore della terra/trafitto da un raggio di sole/ed è subito sera.
                    Nei versi del secondo dopoguerra, si avverte un mutamento significativo: Quasimodo
                    aderisce ai temi politici della Resistenza con generoso impegno civile. “La posizione
                    del poeta” afferma lo scrittore, “non può essere passiva nella società, perché si può
                    arrivare al cuore degli uomini e indurli alla riflessione per cambiare il mondo”. Em-
                    blematico di questo modo di concepire la funzione del poeta è la sua poesia “Uomo
                    del mio tempo”, pubblicata nella raccolta “Giorno dopo giorno” nel 1947 e che può
                    essere suddivisa in due macrosequenze. Nella prima (vv.1-13) l’autore denuncia la
                    tragica immutabilità della condizione umana. L’uomo è rimasto primitivo e selvaggio,
                    come quando utilizzava la pietra e la fionda per lottare e, anzi, con il tempo e con il
                    progresso tecnologico ha costruito strumenti di tortura sempre più precisi e spietati.
                    La vicenda biblica di Caino e Abele, apparentemente relegata a un passato mitico, è
                    di un’attualità impressionante per l’umanità che ancora uccide i propri fratelli, utilizza
                    la sua scienza “esatta” solo per lo sterminio e vive senza Cristo, ossia senza alcuna
                    etica o moralità. La seconda (vv.14-17) è costituita da un appello intenso e parteci-
                    pato rivolto agli uomini del presente e del futuro, con l’utiliz-
                    zo dell’imperativo, a non commettere gli stessi sbagli dei loro
                    padri i cui corpi giacciono sepolti nella cenere. “Dimenticate,
                    o figli, le nuvole di sangue/salite dalla terra, dimenticate i pa-
                    dri:/le loro tombe affondano nella cenere, /gli uccelli neri, il
                    vento coprono il loro cuore.”
                    MARIABERNARDA MAROTTA





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