Page 37 - RIVISTA NOIQUI APRILE 2024
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Gabriella Fortuna


 Rappresenta la condizione che, anche nelle situazioni più difficili e avverse, è possibile in-
 traprendere un viaggio verso la luce e la felicità.  Primo Maggio, una festa dal retrogusto amaro

 La “stazione imbrattata di fango” può simboleggiare le difficoltà, le delusioni o le circo-
 stanze avverse che possiamo incontrare lungo il cammino della vita.             Il  1º  Maggio  nasce  come  momento  di  lotta
 Nonostante queste sfide, Alda ci ricorda che non siamo condannati a rimanere intrappolati   internazionale di  tutti  i  lavoratori, senza barriere

 nel fango del dolore o della disperazione.                                geografiche, né tanto meno sociali, per affermare i
 Possiamo sempre scegliere di partire verso “le vie del cielo”, cioè verso un destino miglio-

 re, verso la ricerca della serenità, della pace interiore e della realizzazione personale.  propri diritti, per raggiungere obiettivi, per
 Non bisogna lasciarsi abbattere dalle difficoltà, ma trovare la forza di alzarsi e di continua-  migliorare la propria condizione di lavoro.    “Otto
 re a camminare, nonostante le avversità. Anche dai momenti più            ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire” fu

 oscuri e sporchi della vita può sorgere una nuova speranza, una nuova possibilità di cresci-  la parola d’ordine, coniata in Australia nel 1855 e
 ta e di cambiamento.                                                      condivisa da gran parte del movimento sindacale

 Alda ci incoraggia a credere nel potere della trasformazione e della rinascita, a mantenere   organizzato del primo Novecento. Si aprì così la
 viva la speranza anche quando sembra che tutto sia perduto. Ci ricorda che non importa da   strada a rivendicazioni generali e  alla ricerca  di

 dove siamo partiti o quali ostacoli abbiamo incontrato lungo il percorso, ciò che conta è la   un giorno, il Primo Maggio appunto, in cui tutti
 determinazione di continuare a muoverci verso una vita migliore, verso la luce e la bellezza   i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare una forma di lotta e per affermare la propria
 che ci attendono.
                autonomia e indipendenza. La data è una scelta simbolica e vuole ricordare la tragedia della rivolta
 Carmelita Caruso  di Chicago nel 1886 quando i lavoratori protestavano perché volevano ridurre l’orario di lavoro

                da  16/14 ore  a 8 ore giornaliere. Le rivolte però furono soffocate nel sangue con la morte di

                diverse persone.    “Lotta dura, senza paura”, era lo slogan che gridavano migliaia di lavoratori per

                la rivendicazione e la difesa dei loro diritti. In un tempo di crisi globale che perdura da decenni,
                parlare della Festa dei Lavoratori, sembra un paradosso. Una festa dal retrogusto amaro per

                tanti che sono costretti ad abbassare le saracinesche, per tanti che percepiscono il reddito di

                cittadinanza o d’emergenza, dove in tutte le città è aumentato il tasso di microcriminalità, dove
                la dispersione scolastica è in netto aumento specie al sud, parlare di Festa dei Lavoratori appare

                quasi una violenza.    Oggi i lavoratori non lottano più, hanno paura delle ripercussioni dei loro

                datori di lavoro perché non sono più tutelati, ne’ difesi, sempre più alla mercé di qualcuno che

                dall’alto li muove come pedine e se appena protestano, sono visti in malo modo, rischiando
                pure il licenziamento, soprattutto nel privato dove vige ancora la formula “qui comando io,

                oppure te ne vai”.  I lavoratori sono sfruttati e mal pagati. Ovunque c’è malcontento. E i

                sindacati? Anch’essi inglobati e fagocitati in un sistema chiuso, rigido dove a far da padrone è
                sempre il più forte e In questa società verticale sempre più distante e distinta in classi sempre

                più chiuse, oggi il lavoro può rappresentare, paradossalmente, una disgregazione sociale e un

                indebolimento dell’uomo perché troppi sono coloro che non riescono a vivere dignitosamente

                e a sbarcare il lunario a fine mese. Lo dimostrano le file alla Caritas che si fanno sempre più
                lunghe e le differenze si fanno sempre più profonde.     Secondo uno studio dell’ISTAT,

                Istituto nazionale di statistica, le famiglie in povertà sono in netto costante aumento e il dato

                è  profondamente  preoccupante.    Che  significato  assume  allora  questa  ricorrenza!      Oggi
                assistiamo a un decadimento della società, a un appiattimento di scelte, a un’omologazione di

                costume, a un oscurantismo, a una rassegnazione, a un decadentismo culturale. Non lottiamo

                più, non alziamo più la voce, tanto nessuno vuole sentire il grido di chi lavora in nero, di chi il
                lavoro non lo cerca più, di chi si trova in cassa integrazione. Ma questo non deve farci arrendere

                perché solo un cambiamento radicale può cambiare uno status quo che dura da troppo. Le

                parole non bastano più, le forze politiche non devono più prendersi gioco della collettività e del
                più debole, occorre concretezza. Questa festa nazionale deve ricordare quanto sia importante

                per ciascuno vivere per un lavoro, deve essere un modo per ripensare a ricostruire e riavviare

                stabilmente le attività e dare esempio ai giovani di non arrendersi e lottare sempre per i propri

                ideali, per i propri sogni, per un lavoro. E così la festa del 1º maggio appare ben lontana dal
                ricordare un momento di lotta e di rivendicazione, bensì un momento di aggregazione sociale,

                un modo per divertirsi e stare insieme davanti a un concerto organizzato dai maggiori gruppi

                sindacali. Il mondo di ieri e il mondo di oggi purtroppo non si parlano più.
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