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RIVISTA NOIQUI FEBBRAIO 2025     https://www.youtube.com/@noiqui/featured
                A

                      URELIO ACETO





                                               nOn mI FIdO


                (monologo - teatro dell’assurdo)


                Non mi fido. Mica sono un cane, Fido, che per fidarsi è finito a far parte dell’a-
                sfalto.
                Si fidava, lui, io… no! Una volta ho conosciuto un tale, anche lui pieno di
                fiducia:
                grassa fiducia nella pancia, allegra fiducia nella testa e scattante fiducia nelle
                gambe, soprattutto. Fiducia nell’autista, fiducia nei freni, nei riflessi, nella
                vista. Adesso si trova tra due strisce bianche, le sue gambe parallele. Non
                scattano più.
                Io no, non scatto e non mi fido.
                Nemmeno  col  verde,  scatto.  Dovrei  fidarmi  del  sincronismo,  dell'esattezza
                cromatica per entrambi, del verde qui, rosso là, del puoi passare? Del fatto
                che non possa generarsi, invece, un verde-verde? Un... possiamo passare! E
                così, certo, andrei io a mettere il rosso, sull'asfalto. No, non mi fido.
                Io l’autista lo guardo bene in faccia, mentre me ne sto con i piedi incollati
                sul marciapiede, cioè non i piedi, le scarpe, i piedi ci stanno dentro … beh, ci
                siamo capiti. Lo guardo, l’autista, e mi dico subito: no no, non c’è da fidarsi.
                Ha il ciuffo, lo vedo.
                Il ciuffo può coprire un occhio. E magari si tratta dell’occhio buono, quello
                coperto dal ciuffo. Sicuramente. Sempre così accade: il buono resta nascosto.
                Non si fida.
                Una naturale stupida legge cosmica.
                E io… io dovrei fidarmi dell’altro occhio? Quello che non è buono, quello che
                vede daltonico, che vede sempre verde, che non vede da lontano, vede da vi-
                cino, quando era meglio vedere da lontano perché da vicino è troppo tardi, e
                qualcuno finisce per diventare parte integrante del manto stradale!
                Ma manco per idea, io non mi fido. Resto qui, sul marciapiede. Punto.
                Magari nell’occhio non buono porta una lente a contatto, si potrebbe pensare
                in un insano momentaneo inutile attacco di fiducia. E io dovrei fidarmi di un
                cerchietto di plastica trasparente? Dovrei fidarmi dei polimeri… e chi sono,
                chi li conosce! Da dove vengono? Adottano la stessa unità di misura? Chi lo
                sa, si potrebbe tentare...
                Beh, io non tento. Magari, fiduciosi o diabolicamente scherzosi, hanno il co-
                smo dalla loro parte, i polimeri diversamente tarati comunicano all’occhio
                non buono che mancano cento metri, e l'occhio non buono si fida, quando
                invece è un metro soltanto, e che diventa subito zero col piede sull'accelerato-
                re. E così io mi ritrovo in parallelo con le gambe del tale di cui sopra, tra una
                striscia pedonale e l’altra, mono-dimensionale, a riflettere inutilmente e tar-
                divamente sul perché debbano esistere differenti unità di misura, e sul perché
                fidarsi del cosmo, che ora andrei a conoscere personalmente, con i pezzettini
                di asfalto conficcati nelle natiche.
                E invece no, questo non accade, perché io NON-MI-FIDO! Ecco la mia unica


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