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RANCESCO D'ANGIÒ
PErcHé cI VuOLE OrEccHIO...
Anche quest'anno è andata, al netto di tutto ciò che accade dentro e fuori dal
pianeta Terra, entro i confini della settima potenza industriale del mondo (?) si
è tenuto l'annuale sacrificio al dio Moloch della musica (esagero?).
Sono settantacinque anni che volenti o nolenti ci ritroviamo intorno al fuoco
(in senso metaforico) a disquisire del... piacevole nulla. Quelli bravi lo defini-
scono “fenomeno culturale” di massa, “evento popolare” caratterizzante la
naturale propensione al canto dell'italica gente, perché tutti sanno che siamo
un popolo di santi naviganti poeti e cantanti, e non solo. Le nostre capacità
collettive si spingono anche oltre, occupando a periodi prestabiliti gli spazi di
competenza “tuttologica” (scusate il neologismo).
A questo punto della storia, il nostro festival musicale più famoso (o famigera-
to), scegliete voi la definizione che preferite, può giocarsela, dal punto di vista
della longevità, con altre celebri manifestazioni quali sono il premio Nobel, o
il premio Oscar, e di certo me ne sfuggono altre.
Permettetemi però di fare una rapida inversione ad “u” e di portare questo
scritto in quello che dovrebbe essere il suo terreno di elezione. O meglio, con-
sentitemi di argomentare da un punto di vista che considero fondamentale,
ovvero, il tipo di approccio all'arte musicale.
Forse mi sbaglierò ma dubito che in diversi di voi canticchino o tengano in
sottofondo una sinfonia di Beethoven o di Gustav Mahler, giusto per citare
due tra i più celebri compositori (mi auguro), mentre compiono gesti di vita
quotidiana. E se mai ciò accadesse, in che maniera ci staremmo ponendo nei
confronti della musica? Io lo definirei “l'approccio della distrazione” o della
“superficialità mortificante”, sia per il senso dell'udito che per una delle poche
gioie del cuore che l'essere umano è stato in grado di creare.
Ora, continuiamo a supporre che ciò accada (ciò dovrebbe comportare anche
una conoscenza del genere musicale un po' più ampia della media), che diffe-
renza passerebbe tra l'ascoltare una nota o un rumore di fondo? Che preste-
remmo più attenzione al rumore di fondo. Dunque, è questo che vogliamo?
Considerare la musica meno notevole di un rumore di fondo?
Ovviamente possiamo considerare questa riflessione come una provocazione,
ma è proprio sul termine “considerazione” che mi soffermerei.
Qual è la considerazione che abbiamo della musica? O del cinema piuttosto che
del teatro, o di qualsiasi altra forma d'arte?
Se guardassimo un film, non ci sogneremmo mai di alzarci dalla poltrona o dal
divano e girare per casa facendo altro, mentre per la musica ciò accade perché
crediamo che essa non ne risenta di un'attenzione per così dire “promiscua”.
Eccezion fatta nel caso in cui si decida di andare ad un concerto, e lì il campo
si restringe ad una scelta precisa e ponderata sulla base dei propri gusti. Ma per
le altre manifestazioni artistiche, la maniera di fruirne non cambia rapportan-
dola al contesto. Quando godiamo della visione di un film a casa o, meglio, al
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