Page 101 - RIVISTA MARZO 2025
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RIVISTA NOIQUI FEBBRAIO 2025 https://www.youtube.com/@noiqui/featured
tranquillizza le coscienze e le mette a riparo da eventuali concorsi di colpe. Per-
ché, se c’è chi sta così tanto male forse una parte di colpa è anche nostra. Forse
abbiamo sbagliato in qualcosa come genitori, figli, compagni, amici, fratelli, col-
leghi. Ma non possiamo accollarci questa colpa. Così, meglio ghettizzare il dolo-
re, chiuderlo dentro un recinto, farlo stare zitto e buono in attesa che la chimica
faccia il suo corso. E la chimica farà il suo corso senza dubbio o forse no. Forse
allungherà soltanto i tempi, ritarderà una altra esplosione di dolore, un altro
urlo disperato: “Sto male! Sto male! Aiutatemi!”. Trovo il libro di Barbara Gian-
gravè terribilmente attuale, brutalmente autentico e ferocemente sovversivo.
Ecco cosa deve fare la letteratura, quella buona si intende, quella vera. Di sicuro
non deve anestetizzare, tranquillizzare, sedare, consolare. Già siamo troppo se-
dati e messi a tacere, siamo troppo narcotizzati da una società che soddisfa i
bisogni del corpo in maniera istantanea ma non sa farsi carico di quelli dell’ani-
ma. La vera letteratura è sempre rivoluzionaria, irrequieta, destabilizzante.
Deve rompere, irrompere, scuotere, provocare, squarciare e sollevare domande
di senso irrisolte. Deve essere come quel “glicine fiorito” bello e seduttivo eppur
fatto di baccelli velenosi. La parola deve essere farmaco, nel senso etimologico
del termine. Farmaco nella stessa accezione di cura e veleno. Perché, se la paro-
la non fa emergere il veleno tossico che si annida dentro noi, non lo getta fuori,
non ci permette di guardarlo, toccarlo e attraversalo, non può essere farmaco in
grado di guarirci. Farmaco in grado di curarci. Ecco la potenza del libro di Bar-
bara. Le sue parole sono come i baccelli velenosi del glicine. La vita lo è. È som-
ma bellezza e sommo dolore. È sanità e malattia. È strazio e canto. È paura di
morire e voglia di sopravvivere aggrappati ad un amore antico o futuro, ad un
progetto, ad un sogno, ad un genitore, a chi vogliamo bene, alla nostra devozio-
ne alle parole, ai nostri desideri. La vita non ha quel muro immaginario in cui
da una parte ci sono i sani e da un’altra parte i malati. Siamo tutti malati in
cerca di cura, di ascolto, di amore, di salvezza e siamo tutti sani in grado, se vo-
gliamo, di accogliere, ascoltare, farci carico delle ferite e dei demoni altrui. La
malattia mentale è uno specchio potente in cui guardare se e quanto riusciamo
a fare i conti con la nostra umanità, pochezza, finitezza, miseria, piccolezza.
Non possiamo sottovalutare il dolore dell’altro solo perché non è il nostro. Non
possiamo girare lo sguardo da un’altra parte solo perché in ballo non c’è la no-
stra specifica vita. “Chi non si fa carico del dolore dell’altro non è degno di essere
chiamato uomo”, così diceva Alda Merini. Così Barbara afferma nelle ultime pa-
gine del suo romanzo: “(…) il calore di un abbraccio, la sorpresa di un bacio e la
bellezza di una carezza sono vitali. Perché la vita è fatta di amore: amore per sé
stessi, amore per gli altri, amore per l’esistenza stessa. Esattamente tutto ciò che la
malattia toglie. Perciò, ve ne prego, non sminuite mai la depressione: né quella vo-
stra né quella di un altro essere umano.”
Leggetelo il libro di Barbara Giangravè. Non è assolutamente un banale diario
di una donna affetta di depressione come non lo è Diario di una diversa di Alda
Merini. Ognuno di noi ha la possibilità di ritrovare esattamente quello che è: “un
uomo”. Una creatura impastata di luci e ombre, di squarci e miracoli, di baccelli
velenosi e di fiori profumati. Nessuno si senta esente, al riparo dalla malattia
mentale, dal baratro, dal dolore, dalla sofferenza psichica. Nessuno creda di
non avere bisogno dell’altro, della sua presenza, cura, conforto, ascolto. Nessuno
creda di bastare a sé stesso e di essere artefice onnipotente del proprio destino.
In ognuno di noi vive e respira un “glicine fiorito”.
Bia Cusumano
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