Page 102 - RIVISTA MARZO 2025
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ABRIELLA FORTUNA
l’albero di GiUda, Nei viali delle CittÀ, testimoNe
iGNaro di UN GraNde iNGaNNo
Passeggiando tra viali e giardini in questo periodo di primavera, è possibile
imbattersi e ammirare maestosi alberi dall’ampia chioma con innumerevoli
piccoli fiori dai colori che vanno dal lillà al viola. È uno spettacolo della natura
che pare si sia sbizzarrita alla stregua dei pennelli di klimt o di Van Gogh.
L’albero non passa inosservato e ad ammirarlo, il pensiero viaggia e si perde
e pare di essere catapultati in una dimensione soprannaturale dove a far da
padrona sia la fantasia. Dietro a cotanta spontanea bellezza vi è una storia,
forse la prima e la più tragica e dolorosa che l’umanità abbia potuto conoscere.
È una storia che nasconde un racconto inquietante, probabilmente una leg-
genda, nata più di 2000 anni fa, quando Gesù era solito predicare la buona
novella accompagnato dai suoi discepoli. L’albero in questione è il Cercis
siliquastrum, meglio conosciuto come l’albero di Giuda. Si racconta che pro-
prio ai piedi di questo albero, Giuda abbia dato il famoso bacio a Gesù. Quel
bacio. Il famoso bacio del tradimento. La vita, da quel momento in poi,
per l’Iscariota, non ebbe più valore. Provò un vuoto interiore mai conosciuto
prima, i rimorsi l’attanagliavano, la coscienza gli rimordeva. La sua era una
colpa voluta e cercata, solo per il vil denaro. Vagò di terra in terra in cerca di
consolazione, senza mai trovarla. Aveva sbagliato, ne era consapevole, ma era
troppo tardi per porre rimedio. Aveva scritto e cambiato inesorabilmente un
pezzo di storia, e quella stessa storia l’avrebbe condannato come il più cattivo,
il più perfido, il peggiore di tutti. Vivere ormai non aveva più senso, né uno
scopo. Facendosi profeta del suo stesso destino, errando gettò via anche quei
trenta soldi per i quali si era venduto e poi, quella tragica estrema decisione.
Per il rimorso incolmabile, per quel senso di colpa, proprio sotto quell’albero
dalla chioma gigantesca, rassegnato al suo dolore, con una grossa fune, de-
cise di porre fine alla sua misera vita. E il suo freddo vischioso liquido rosso,
macchiato di onta, andò a schizzare in ogni dove. L’infame aveva pagato con
la vita. Dalla corteccia macchiata di quel sangue tradimentoso, spuntarono
dei fiori delicati, che da bianchi che inizialmente erano, si imbrattarono e si
tinsero del colore che oggi noi tutti possiamo ammirare. Ma la natura si sa’
è benevola e spesso dà una seconda possibilità e quell’albero, che era stato
l’ignaro mezzo per porre fine alla vita del perfido, colui che aveva tradito il
suo Signore, sta lì maestoso a testimoniare la grave colpa che è stata inflitta
all’umanità. Ma ora sfoggia con i suoi fiori delicati tutto il suo fascino, come
a significare che c’è sempre una speranza per ognuno, c’è sempre la rinascita,
sempre un perdono. Ma questa storia è solo una leggenda!
Gabriella Fortuna
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