Page 29 - RIVISTA NOIQUI DICEMBRE 2021
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pAsquALE VuLCAnO                                            HELEnA mALAChOVá


 LA LUCE DEL NATALE                         NATALE DI LUCE

 S'illumina la grotta nell'incanto  Mi prostro innanzi a Te, mio Salvatore,  IL CIELO SILENTE
 di quel vagito atteso da millenni  con l'anima che piange e si tormenta;
 nel vuoto mondo privo d'ogni canto  t'offro Bambino tutto il mio dolore,
 già nel torpore e in lacrime perenni!  nel mentre fuori e dentro la tormenta   Andai a Gerusalemme al tempo della peste
                 Vidi i muri
 Sarà una luce colma di magia   urla con furia e non s'acqueta mai!  Piansi
 che vestirà il sentiero d'ogni fiore,   Non so domani cosa ancor m'attende,  Il cielo restò silente
 s'udrà all'intorno dolce melodia   ché per la china e alla deriva è ormai   Mi bagnai nei sette fiumi sacri e bevvi avida
 che infonderà speranza in ogni cuore.  la vita mia, sì stanca, che s'arrende;  Fanciulli affamati guardavano le luci nel cielo scuro
                 e silente
 La mente va al Bambino sulla paglia   ma poi contemplo il viso tuo celeste,   Mi prostrai davanti all'altare nell'attesa di un segno
 ch'apre le braccia e accoglie il mondo intero   anche se al freddo d'una mangiatoia  Camminai sotto il sole cocente tra rovi di rosmarino
 che ottuso nel peccato l'alma incaglia  e la speranza il cuore spento investe  Caddi davanti alla cattedrale muta
 e incede a stento al buio del sentiero.   e attendo che ritorni nuova gioia  Mi trasformai in un fiore di loto e aspettai paziente
                 Vidi un serpente alato
 Diffonda la sua luce tutt'intorno   in questa luce che risplende attorno,   Insaziabile
 e l'alba chiara accenda un nuovo giorno!  che calma la mia pena e ancor fa giorno!  nel cielo di battaglia e nirvane d'artificio
                 Sgranai rosari di legno
 Nota dell'autore: sonetto elisabettiano  Nota dell'autore: sonetto elisabettiano  e digiunai nel deserto
                 Il sole trasudava stelle
                 e gli scorpioni si pungevano con la coda
                 La vergine dagli occhi di cerbiatta
                 tacque
                 Mi gettai in estasi sulla graticola
                 pur di compiere un prodigio di santità
                 Mangiai ragni e formiche
                 Mi feci trafiggere da frecce accuminate
                 in una notte di silenzio totale
                 Nessuna voce mi lodò

                 Salii poi sul monte
                 Altissimo
                 Mi sedetti quieta in cima
                 Contemplai
                 l'eterna neve
                 e il cielo a portata di mano
                 Fu allora che udii parole
                 di infinita bellezza















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