Page 54 - RIVISTA NOIQUI MARZO 2022
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TRA MITOLOGIA E LEGGENDA                                                                 fERDInAnDO CApuTI





                                                                                               C’ERA UNA VOLTA L’EGITTO


                                                                                  ANTICO REGNO – IV DINASTIA - LA GRANDE
                                                                                  PIRAMIDE DI CHEOPE
                                                                                  LA PIRAMIDE – (Settima parte)
                                                                                  Abbiamo parlato dei costruttori della piramide, penso sia
                                                                                  il caso di spendere due parole per quei poveri diavoli che
                                                                                  ci  hanno  lavorato.  Plinio  e  Diodoro  Siculo  concordano
                                                                                  nell’affermare che per la costruzione occorsero non meno
                                                                                  di  360.000  uomini  che  lavoravano  a  turno  per  20  anni.
                                                                                  Erodoto racconta che gli operai impiegati erano 100.000
                                                                                  che lavoravano con turni trimestrali. Oggi molti studio-
                                                                                  si pensano che fossero necessarie non meno di 20-25.000
                                                                                  persone che lavoravano a turno. Comunque sia, e mi ri-
                                                                                  peto, a costruire la piramide sono stati gli operai egiziani,
                da sfatare e considerare falso il fatto che a costruirla siano stati degli schiavi oltretutto maltrattati. La manodopera spe-
                cializzata, in primis, lavorava tutto l’anno in piena libertà mentre la manovalanza era costituita dai fellàhin (contadini di
                bassa estrazione) che nel periodo dell’alluvione (luglio-settembre), e non solo, prestavano la loro opera a pagamento per
                il lavoro svolto. Ovvio che il lavoro era durissimo e pericoloso e la sicurezza era quello che era, la disciplina era massima
                e non bisognava sgarrare, il coordinamento di una massa simile di lavoratori, come già detto, doveva essere molto com-
                plessa e non ci si poteva permettere errori. Certo non ricevevano l’accredito sul conto corrente ma erano stipendiati con
                derrate alimentari, vestiario e quant’altro occorresse alla loro famiglia. Ora che abbiamo precisato quanto doveroso nei
                confronti del popolo egizio, torniamo ad esaminare le difficoltà che sono state affrontate per portare a termine un lavo-
                ro così mastodontico. Il grosso del lavoro non si limita ai massi di 1 o 4 ton., se teniamo conto che la Grande Galleria,
                la camera del Re e le camere di scarico sono fatte con blocchi di granito il cui peso varia dalle 70 alle 80 ton. dobbiamo
                fermarci a riflettere. La costruzione comportava che tutti i vuoti interni della
                piramide crescessero con la piramide stessa, pertanto era necessario pro-
                cedere all'allestimento delle varie camere e gallerie interne con i blocchi di
                granito in contemporanea con la posa in opera dei massi di calcare. Questo
                ci porta all'ovvia interpretazione che ciascun blocco di calcare necessitava
                sicuramente ancora di una ulteriore rifinitura in loco per potersi adattare
                perfettamente ai ciclopici blocchi di granito. Se vogliamo fermarci a riflette
                un attimo e pensare ai blocchi da 40 fino a 70 tonnellate della “camera del re”, non possiamo fare a meno di constatare
                che le suddette operazioni appaiono ai limiti della fisica costruttiva. Una ponderata riflessione ci porterebbe a considerare
                che gli egizi, all’epoca del faraone Cheope, non sarebbero stati in grado di realizzare una simile costruzione perché non
                vi erano le condizioni tecniche e tecnologiche necessarie per costruire un’opera colossale di quel tipo in soli 20 anni ma
                forse anche in molti di più. Il ricercatore indipendente, dott. Diego Baratono afferma, nella sua opera, che << per estrar-
                re, lavorare, ruotare, capovolgere, spostare sulle slitte, trasportare verso la piramide, poi affrontare la rampa inclinata,
                arrivare alla quota prevista, posizionare con precisione millimetrica blocchi dal peso di 1 ton. fino a 4 ton,, il tutto senza
                                                                l’ausilio nemmeno della più rudimentale carrucola, diventa un’operazione
                                                                da sottoporre ad un attento studio di fattibilità >>. Come abbiamo potuto
                                                                constatare il lavoro si presentava assai complesso e non di facile esecuzione,
                                                                ma la piramide c'è e qualcuno deve pur averla costruita. Per il momento ac-
                                                                contentiamoci di prenderne atto limitandoci a considerare ciò che ci dicono
                                                                gli egittologi accademici senza però trascurare di gettare un occhio anche
                                                                alle teorie dei “piramidioti” (definizione leggermente offensiva comunque
                                                                non mia), che spesso tanto idioti poi non lo sono. Adesso proviamo ad
                                                                iniziare dal lavoro nelle cave dove venivano estratti e scolpiti i blocchi sia
                                                                di calcare che di granito. Secondo
                                                                alcuni  studiosi  le  pietre  necessarie
                per la costruzione sarebbero state ricavate utilizzando dei cunei di legno infissi
                in appositi fori e poi successivamente bagnati in continuazione in modo che di-
                latandosi spaccassero la roccia, possibile sia nel calcare che nel granito, questo è
                stato dimostrato. Bene, a questo punto però si trovavano di fronte a degli enor-
                mi massi dalle forme più varie che necessitavano di essere ulteriormente ridotti.
                Massi che presentavano notevoli irregolarità per cui occorreva un duro lavoro
                di scalpellatura per ottenere dei massi sufficientemente squadrati, pressapoco
                delle dimensioni volute, circa un metro cubo. Questi poi venivano trasportati nel
                cantiere dove venivano perfettamente levigati in modo da poterli far combaciare
                con gli altri. E qui stiamo parlando di calcare, reperibile in tutta la piana di Giza
                (ad esclusione del calcare di Tura che si trova a circa 25 km di distanza), definito semiduro nella scala di Mohs (di grado
                3-5). Faccio una breve parentesi per chi non la conoscesse, la Scala di Mohs è un criterio empirico per la valutazione della
                durezza dei materiali e fu ideata dal mineralogista tedesco Friedrich Mohs nel 1812, in essa vengono elencati i minerali
                secondo il loro grado di durezza progressivamente da 1 a 10, il primo minerale della serie è il talco l'ultimo il diamante. I
                massi di calcare, del peso variabile da 800 kg. a 4 ton. cadauno, costituiscono il 97% di tutto il materiale usato. Avendolo
                sperimentato personalmente vi garantisco che è già un'impresa lavorarlo con scalpelli di duro acciaio temprato, al vanadio
                o addirittura widia, percossi con mazzette di acciaio forgiato da 1,5 chilogrammi. Ricordiamo che, a quanto ci risulta dai
                reperti gli antichi egizi disponevano, al più, di scalpelli in bronzo, indurito addizionando arsenico allo stagno ed al rame,
                che percuotevano con i famosi mazzuoli di legno (!). Con tali attrezzi avrebbero sgrossato e lisciato due milioni e mezzo
                di blocchi di calcare.

                                                                         << CONTINUA >>


                (L'elenco delle fonti e bibliografia è piuttosto corposo per cui lo pubblicherò con l'ultimo articolo).
                Ferdinando Caputi.




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                periodico mensile del gruppo NOIQUI                                                                                                                                                                                                 periodico mensile del gruppo NOIQUI
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