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TRA MITOLOGIA E LEGGENDA fERDInAnDO CApuTI
C’ERA UNA VOLTA L’EGITTO
ANTICO REGNO – IV DINASTIA - LA GRANDE
PIRAMIDE DI CHEOPE
LA PIRAMIDE – (Settima parte)
Abbiamo parlato dei costruttori della piramide, penso sia
il caso di spendere due parole per quei poveri diavoli che
ci hanno lavorato. Plinio e Diodoro Siculo concordano
nell’affermare che per la costruzione occorsero non meno
di 360.000 uomini che lavoravano a turno per 20 anni.
Erodoto racconta che gli operai impiegati erano 100.000
che lavoravano con turni trimestrali. Oggi molti studio-
si pensano che fossero necessarie non meno di 20-25.000
persone che lavoravano a turno. Comunque sia, e mi ri-
peto, a costruire la piramide sono stati gli operai egiziani,
da sfatare e considerare falso il fatto che a costruirla siano stati degli schiavi oltretutto maltrattati. La manodopera spe-
cializzata, in primis, lavorava tutto l’anno in piena libertà mentre la manovalanza era costituita dai fellàhin (contadini di
bassa estrazione) che nel periodo dell’alluvione (luglio-settembre), e non solo, prestavano la loro opera a pagamento per
il lavoro svolto. Ovvio che il lavoro era durissimo e pericoloso e la sicurezza era quello che era, la disciplina era massima
e non bisognava sgarrare, il coordinamento di una massa simile di lavoratori, come già detto, doveva essere molto com-
plessa e non ci si poteva permettere errori. Certo non ricevevano l’accredito sul conto corrente ma erano stipendiati con
derrate alimentari, vestiario e quant’altro occorresse alla loro famiglia. Ora che abbiamo precisato quanto doveroso nei
confronti del popolo egizio, torniamo ad esaminare le difficoltà che sono state affrontate per portare a termine un lavo-
ro così mastodontico. Il grosso del lavoro non si limita ai massi di 1 o 4 ton., se teniamo conto che la Grande Galleria,
la camera del Re e le camere di scarico sono fatte con blocchi di granito il cui peso varia dalle 70 alle 80 ton. dobbiamo
fermarci a riflettere. La costruzione comportava che tutti i vuoti interni della
piramide crescessero con la piramide stessa, pertanto era necessario pro-
cedere all'allestimento delle varie camere e gallerie interne con i blocchi di
granito in contemporanea con la posa in opera dei massi di calcare. Questo
ci porta all'ovvia interpretazione che ciascun blocco di calcare necessitava
sicuramente ancora di una ulteriore rifinitura in loco per potersi adattare
perfettamente ai ciclopici blocchi di granito. Se vogliamo fermarci a riflette
un attimo e pensare ai blocchi da 40 fino a 70 tonnellate della “camera del re”, non possiamo fare a meno di constatare
che le suddette operazioni appaiono ai limiti della fisica costruttiva. Una ponderata riflessione ci porterebbe a considerare
che gli egizi, all’epoca del faraone Cheope, non sarebbero stati in grado di realizzare una simile costruzione perché non
vi erano le condizioni tecniche e tecnologiche necessarie per costruire un’opera colossale di quel tipo in soli 20 anni ma
forse anche in molti di più. Il ricercatore indipendente, dott. Diego Baratono afferma, nella sua opera, che << per estrar-
re, lavorare, ruotare, capovolgere, spostare sulle slitte, trasportare verso la piramide, poi affrontare la rampa inclinata,
arrivare alla quota prevista, posizionare con precisione millimetrica blocchi dal peso di 1 ton. fino a 4 ton,, il tutto senza
l’ausilio nemmeno della più rudimentale carrucola, diventa un’operazione
da sottoporre ad un attento studio di fattibilità >>. Come abbiamo potuto
constatare il lavoro si presentava assai complesso e non di facile esecuzione,
ma la piramide c'è e qualcuno deve pur averla costruita. Per il momento ac-
contentiamoci di prenderne atto limitandoci a considerare ciò che ci dicono
gli egittologi accademici senza però trascurare di gettare un occhio anche
alle teorie dei “piramidioti” (definizione leggermente offensiva comunque
non mia), che spesso tanto idioti poi non lo sono. Adesso proviamo ad
iniziare dal lavoro nelle cave dove venivano estratti e scolpiti i blocchi sia
di calcare che di granito. Secondo
alcuni studiosi le pietre necessarie
per la costruzione sarebbero state ricavate utilizzando dei cunei di legno infissi
in appositi fori e poi successivamente bagnati in continuazione in modo che di-
latandosi spaccassero la roccia, possibile sia nel calcare che nel granito, questo è
stato dimostrato. Bene, a questo punto però si trovavano di fronte a degli enor-
mi massi dalle forme più varie che necessitavano di essere ulteriormente ridotti.
Massi che presentavano notevoli irregolarità per cui occorreva un duro lavoro
di scalpellatura per ottenere dei massi sufficientemente squadrati, pressapoco
delle dimensioni volute, circa un metro cubo. Questi poi venivano trasportati nel
cantiere dove venivano perfettamente levigati in modo da poterli far combaciare
con gli altri. E qui stiamo parlando di calcare, reperibile in tutta la piana di Giza
(ad esclusione del calcare di Tura che si trova a circa 25 km di distanza), definito semiduro nella scala di Mohs (di grado
3-5). Faccio una breve parentesi per chi non la conoscesse, la Scala di Mohs è un criterio empirico per la valutazione della
durezza dei materiali e fu ideata dal mineralogista tedesco Friedrich Mohs nel 1812, in essa vengono elencati i minerali
secondo il loro grado di durezza progressivamente da 1 a 10, il primo minerale della serie è il talco l'ultimo il diamante. I
massi di calcare, del peso variabile da 800 kg. a 4 ton. cadauno, costituiscono il 97% di tutto il materiale usato. Avendolo
sperimentato personalmente vi garantisco che è già un'impresa lavorarlo con scalpelli di duro acciaio temprato, al vanadio
o addirittura widia, percossi con mazzette di acciaio forgiato da 1,5 chilogrammi. Ricordiamo che, a quanto ci risulta dai
reperti gli antichi egizi disponevano, al più, di scalpelli in bronzo, indurito addizionando arsenico allo stagno ed al rame,
che percuotevano con i famosi mazzuoli di legno (!). Con tali attrezzi avrebbero sgrossato e lisciato due milioni e mezzo
di blocchi di calcare.
<< CONTINUA >>
(L'elenco delle fonti e bibliografia è piuttosto corposo per cui lo pubblicherò con l'ultimo articolo).
Ferdinando Caputi.
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