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raggiungere risultati brillanti nel lavoro, nelle relazioni, ma che hanno invece soffocato
le loro potenzialità e, molto spesso, appaiono spenti, continuando a vivere esistenze
prive di traguardi e obiettivi. Il mio nome è Elvira. Ero una bambina invisibile anch’io
e, come tale, da maestra ho sempre prestato una grande attenzione a questa proble-
matica, osservando i miei bambini con sguardo attento, accogliendoli sempre in un
immenso abbraccio per ciò che ciascuno di loro sentiva di essere, ascoltandoli, dando
loro fiducia sempre e comunque. Ho cercato di essere costantemente in sintonia con
loro, ancor di più in questo periodo così più buio e problematico della loro giovane
vita che non pensavo mai dovesse arrivare. In alcuni quartieri, storicamente ai margini
della società come il quartiere in cui lavoro oramai da circa quattro decenni, la scuola
rappresenta l’unica alternativa possibile a una vita che, per molti ragazzini, appare già
predestinata sin dalla nascita. A un buon numero di alunni, senza questo “baricentro”
solido che faccia da contraltare al disagio delle loro realtà familiari, viene ancora più
semplice consegnarsi ad altre prospettive di vita, non ultima la criminalità. Non esiste
nessuna didattica a distanza che possa impedirlo. Quella in presenza, al contrario, qual-
che sforzo in più riesce ad attuarlo, perché è fatta di azioni dirette, di potenza creativa,
di legami affettivi forti…di emozioni. I ragazzi e i bambini delle periferie più disa-
giate come Scampia, i tanti bambini invisibili che popolano le nostre classi, in questo
frangente, inevitabilmente si disperdono, nei meandri della disperazione, dell’incuria
e della disattenzione. È sufficiente anche un segmento temporale piuttosto breve e il
danno terribile e, spesso irreparabile, è fatto. Ma non sono solo gli alunni dei sobbor-
ghi a soffrire. In questo spasmodico incentrare ogni discussione sulla DAD, su come
cercare di portare, via etere, la scuola a casa, sulle possibili connessioni da potenziare,
sugli ingenti investimenti, si perde la dimensione profondamente umana di quelle con-
nessioni autentiche e dirette, perdute all’interno di questa surreale vicenda.I dibattiti a
monte pare non prendano seriamente in considerazione l’impatto che tale dimensione
incredibile ha avuto sui più piccoli.E infatti di come stia impattando questa nuova real-
tà di “reclusione forzata” sui bimbi, nessuno ne discute con lo scopo di alleggerirne gli
effetti complessi. Questo perché ogni pandemia annovera storicamente sempre i soliti
grandi assenti, gli invisibili di ogni tragedia umana: i bambini. Nessuno che affronti il
problema di come questa drammatica condizione di staticità innaturale si sia abbattu-
ta su di essi. Nessuno che analizzi le probabili conseguenze del totale annullamento
delle loro relazioni sociali, in un arco temporale lungo quasi due anni. Nessuno che si
preoccupi di quanto questa emergenza sanitaria possa trasformarsi, per i più piccoli, in
un’esperienza troppo forte da sostenere, fatta di angosce, solitudine, paure e fantasmi.
I bambini sono, in questo frangente, piccoli esseri considerati talmente resilienti da ri-
cordarsene solamente per definire i dettami di una didattica a distanza, che per lo stes-
so termine che la denota “a distanza” include tutta la precarietà di una scuola eterea,
senza spazi, senza corpi e senza emozioni reali. Da insegnante mi sentirei inadeguata e
ipocrita se facessi finta di niente, se non ribadissi quella che è semplicemente un’ovvia
realtà: i bambini, come al solito, stanno pagando il tributo più oneroso per l’innaturale
condizione di clausura cui sono costretti dall’emergenza e nessuna didattica virtuale
può “aggiustare” questa amara evidenza.
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periodico mensile del gruppo NOI