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ordinò perentoriamente. Perciò, drizzatosi di malavoglia sulle magre gambe traballanti,
                  la seguì verso la soglia di casa socchiusa, dove restò a bocca spalancata, nel vedere al di
                  fuori i suoi compagni, totalmente immobili, i quali, seri in volto, lo stavano fissando.
                  Parevano cani bastonati. L’insegnante lo squadrò per un attimo; così smunto in viso,
                  gli procurava molta pena. Dopodiché, estratto un astuccio di velluto nero, nuovo all'ap-
                  parenza, lo aprì e ne trasse una penna. Al che Rinaldo, osservandola ancora fra le mani
                  dell’uomo, la riconobbe: si trattava della sua penna! Ma... c’era un “non so che” di in-
                  solito, al suo comparire. Allorché la prese tra le dita, la rimirò: il pennino nuovo, del
                  colore dell’oro, scintillando sotto i raggi del sole, la faceva sembrare magica! A quel
                  punto, il maestro, scusandosi per il pesante torto da lui subito, lo rassicurò sul fatto che
                  i suoi compagni, avendo oltremodo imparato una bella lezione di vita, se ne erano
                  pentiti. Dichiarò inoltre che, essendosi rotto il pennino, era stato loro doveroso com-
                  pito farlo sostituire con un altro, tutto d’oro. A Rinaldo scesero le lacrime dagli occhi,
                  nel riavere fra le mani la sua penna, divenuta ancora più preziosa di prima, con il suo
                  pennino d’oro fiammante, quasi fosse stata incoronata Regina. Poi, serio a sua volta, li
                  scrutò uno a uno, innanzi a che le sue labbra pressoché esangui si atteggiassero a un
                  radioso sorriso, volto a rallegrare il cuore dei compagni, i quali batterono le mani dian-
                  zi ad abbracciarlo festosamente. E fu così che tornò a scuola tra di loro e mai più fu
                  canzonato; al contrario, essi lo acclamavano sovente a gran voce cosicché poter udire
                  poesie e storie, riportate sui quaderni che profumavano il pennino d’oro della sua ado-
                  rata penna, come a onorarla e nei quali imprimeva altresì pensieri, narrava dei suoi
                  sogni, rivelava i propri desideri prima che prendessero il volo, onde finire in quel mi-
                  sterioso angolo di firmamento, nell’attesa che arrivasse il tempo in cui, tramite lui
                  medesimo, fossero (meglio ancora sarebbero) stati in grado di materializzarsi...  O che
                  uno spirito folletto, burlante e spiritoso, stranamente lo aiutasse a esaudirli. Oppure
                  che, dal suo ovattato mondo ideale, discendesse una fata, munita di bacchetta, che si
                  degnasse di attuare una malia al fine di tramutarli nel reale. Ma se ciò non fosse stato,
                  se quel che era volato via, lassù fosse rimasto per l’immenso eterno, Rinaldo era co-
                  munque sereno, fiero del suo più prezioso tesoro, la sua penna dal pennino d’oro, che
                  guidava la sua mano e non viceversa. A posteriori, divenne un poeta osannato, uno
                  scrittore beneamato, mediante la cui fama, oltrepassante i confini del di lui paese natio,
                  realizzò parte di quei desideri in paziente attesa nell'apposito ambito celeste.» «Non-
                  no... Allora, questa è veramente la penna di Rinaldo!», esclamò, saltando in piedi, sbi-
                  gottita dall’avere un simile tesoro fra le mani. «Sì, mia cara, si tratta di un gioiello assai
                  prezioso! Ti apparterrà, un giorno; ragione per cui, ne dovrai avere molta, molta cura.
                  Osserva bene la foto incorniciata, appesa alla parete di fronte; vedi quel signore che
                  sorride? È il mio bisnonno! Sai indovinarne il nome?» «È Rinaldo, nonno!» «Brava,
                  tesoro! Ero conscio che lo avresti capito immediatamente.» «Ma nonno, non avrei po-
                  tuto sbagliarmi! Ha la penna, nel taschino; guarda bene, il tappino sta spuntando fuo-

                  ri.»   «Acciderba... Non vi avevo mai fatto caso! È proprio vero, quella è la sua penna...
                  Ma guarda, se la portava sempre appresso! Era la sua compagna da sempre, la sua
                  ispiratrice, la sua musa di poesia, di storie, di racconti, di tutto ciò che è fantasia, volan-
                  do per quel mondo innaturale che ancora esiste, dove tutto prende vita e tutto si può
                  fare.» «Anche tu, nonno, viaggi in quel mondo?» «Sì, anch’io, esattamente come Rinal-
                  do. Bene... Si è fatto tardi; scendiamo di sotto, ci staranno aspettando. Curiosetta mia...
                  Curiosare non è male, se fatto per conoscere; ma essenzialmente per quello... e non per
                  altro. Onde per cui, se ciò sarà il tuo obiettivo, non smettere mai.» «Se non erro, ades-


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