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RIVISTA NOIQUI DICEMBRE 2024 https://www.youtube.com/@noiqui/featured
tanti anni di matrimonio, non visto e non sentito. Ospite perenne e inseparabile
di Luigi. Aveva solo aspettato il momento giusto. E il colpo era esploso senza
pietà alcuna.
Marzia pretendeva la villa, i soldi del conto, la sua parte di benessere economi-
co. Meritatissimo, aggiunse, perché in fondo aveva donato a Luigi i suoi giovani
anni, il suo corpo statuario, la sua bellezza vertiginosa, il suo talento ormai con-
solidato, la sua presenza. Era giunto il momento di saldare il debito. Di pagare
il conto. Perché i conti si pagano sempre. Questione di tempo. Luigi non riusci-
va nemmeno a guardarla. Bella e spietata. Spavalda e spocchiosa. Arrogante e
pretenziosa. Voleva tutto e voleva soprattutto che il sipario calasse al più presto
possibile su quel matrimonio che definì una farsa. Lei, giovane e bella, all’apice
della sua carriera non voleva più avere accanto un vecchio stanco, ormai in de-
clino, divorato da ricordi e privo di desideri. Non era più vita per lei.
Ora, mia dolcissima Giulia, se non ci fossi stata tu, dopo che il cecchino ha spa-
rato il colpo e lo schianto si è perpetrato nella mia vita, io quella stessa notte
l’avrei fatta finita.
Ho preso due cambi intimi, due maglioni, il violino e sono fuggito all’alba di
una notte di dicembre. Il gelo mi ha consumato le ossa. E l’ennesimo fallimen-
to della mia vita mi ha gettato in preda alla depressione più nera. In una sola
notte sono tornato ad essere orfano. Un altro amore schiantato. Un altro lutto.
Un'altra fine inesorabile. Ho lasciato la villa con tutto dentro. I mobili dei miei
genitori, i quadri, il pianoforte a coda, i libri, i soldi. Tutto. Perché non esiste
nulla al mondo che possa risarcire un amore tradito, svilito, massacrato, ucciso
senza compassione alcuna.
Mi sono ridotto un profugo vagabondo. Indigesto alla mia stessa vita. Il peggio-
re nemico di me stesso. Ho toccato il fondo della disperazione e della perdizione.
Volevo davvero annientare la tristissima storia del maestro di violino piantato
in asso dalla giovane moglie in carriera senza pietà. Al fondo del massacro sei ri-
apparsa tu, mia Giulia. Mi sono aggrappato a te come ho sempre fatto perché in
fondo io sono un uomo debole, un disadattato alla vita. Mi sono aggrappato a te
come fossi mia madre, la sorella che non ho mai avuto e la carezza di quel Dio di
cui tu parli sempre. Ci siamo ritrovati dopo anni di lungo silenzio perché Marzia
non aveva mai permesso potessi avere amiche, neanche te. Pretendeva l’assoluta
esclusiva mentre lei chissà quanti amanti abbia avuto. Eppure tu sei rimasta.
In disparte a guardare. In silenzio ad amare. In attenta e vigile osservazione. E
quando quella sera dopo anni ti chiamai, con un senso di colpa mostruoso per
essere sparito così miseramente dalla tua vita, hai risposto senza esitazioni e mi
hai semplicemente detto: “Luigi, dove sei? Arrivo.”
Non so come abbia fatto, mia Giulia, a pensare fosse possibile vivere senza la tua
profondissima amicizia, senza il tuo vincolo di anima, senza la tua voce, i tuoi
consigli, il tuo prezioso esserci, senza mai alcuna pretesa o giudizio. Ma tu sei
così. L’amicizia cosa vuoi che sia, se non amore purissimo? Mi tornano sempre
in mente le tue parole. E quella sera ho avuto il coraggio di chiamarti perché ero
certo che le tue non siano mai state solo parole. Ed eccomi giunto a rivolgerti
il mio augurio di compleanno con i versi di uno scrittore che insieme abbiamo
amato molto perché sopravvissuto a tutto, fuorché poi a sé stesso. Sopravvissu-
to come noi, mia dolcissima Giulia. Non ho soldi per farti il regalo che meritere-
sti. Non posso che donarti parole ma so che per te sono tutto. Il tuo tutto, il tuo
tutto-mondo. Non scordarle mai, ti prego.
“Abbi pazienza, mia donna affaticata,
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