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IRIS VIGNOLA




               sua mamma o il suo papà non lo accompagnavano a scuola in auto?» «Tesoro mio, in
               quell’epoca remota non esistevano le auto, ma carrozze trainate da cavalli ed era un lusso
               riservato prettamente a gente facoltosa. Seppure nei piccoli borghi si usassero calessi,
               non tutti li possedevano e la famiglia del bambino era troppo umile per averne uno. Ma
               andiamo avanti: sulla strada del ritorno, in pieno inverno, allorquando la luce stava per
               essere soppiantata dall'oscurità, le prime ombre lo seguivano al fine di spaventarlo; cio-
               nonostante, non ci riuscivano, poiché Rinaldo, sognando di continuo a occhi aperti, si
               esimeva dal guardarsi attorno e non considerava altro se non i propri desideri, che aveva-
               no le ali per volare in alto.»
               «Anch’io ho tanti sogni e tanti desideri, nonno. Quindi, volano anche i miei?» «Certo,
               cara. Tutti i sogni e i desideri volano in un apposito posto, nel cielo, in attesa di essere
               realizzati. Comunque, ascolta, fammi andare avanti: i suoi compagni di classe non lo ve-
               devano di buon occhio, così perennemente perso nel suo mondo, in cui nessuno riusciva
               a penetrare. Aveva unicamente una penna, sempre quella, oramai divenuta vecchia a furia
               di usarla. A quel tempo, le penne erano differenti dalle odierne; in modo che scrivessero,
               si doveva intingere il pennino nel calamaio ricolmo di inchiostro.»
                                                                «A scuola, io uso penne che hanno l'inchio-
                                                                stro all’interno.»,  gli  comunicò,  la picco-
                                                                la.«Lo so bene e il pennino è ben diverso da
                                                                quello  della  penna  posseduta  da  Rinaldo.
                                                                Allora, dove eravamo rimasti, fammi riflet-
                                                                tere... Ah sì: insomma, scansandolo, i com-
                                                                pagni lo abbandonavano a se stesso e non
                                                                lo facevano partecipe  ai  consueti  svaghi,
                                                                durante il lasso di tempo della ricreazione.
                                                                Malgrado ciò, era felice con i suoi fogli e la
                                                                sua penna in mano. Si limitava a rimanere
                                                                in classe, seduto al banco, all'uopo di dise-
                                                                gnare qualunque cosa gli ruotasse attorno,
               ma, anzitutto, a imprimere sulla carta ogni pensiero formulato dalla sua prolifica mente,
               tramutandolo in poesia o in una storia reale e, talvolta, in fantasia.», le raccontò, il nonno,
               poi interrotto nuovamente: «Oh, nonno, era proprio bravo Rinaldo. Mi sarebbe tanto
               piaciuto conoscerlo!». «Sai... Purtroppo, non vive più da parecchi anni; è partito per il
               mondo che ci aspetta tutti quanti...
               Continuo: sotto la sua penna, i fogli prendevano vita; li colmava di armoniosi disegni e
               di straordinari scritti, per un bambino di un’età ancora piuttosto esigua.» «Anch’io sono
               brava a disegnare e ho anche imparato a scrivere senza fare errori!», gli dichiarò, Anna.
               «So che sei un’ottima scolara e che la tua pagella è ricca di bei voti. Però, tesoro mio, se
               mi interrompi in continuazione, non riuscirò a concludere la narrazione. Ti sei stancata di
               ascoltare? Vuoi che smetta?» «Nooo, nonno! Sto zitta, te lo prometto! Vai pure avanti!»,
               esclamò, con il visino afflitto. «Allora, dove eravamo rimasti... Ecco: più i mesi trascorre-
               vano, più la sua penna diveniva vecchia, in quanto era dapprima appartenuta a suo nonno
               e successivamente al suo papà, sebbene entrambi non l’avessero adoperata molto, dal
               momento che all'epoca erano pochi quelli che imparavano a leggere e a scrivere, anche
               se talvolta ci avevano provato. Dacché Rinaldo ne aveva grande cura, nell'astenersi di
               premerne il pennino in maniera pesante e di fargli prendere dei colpi, esso era intatto,


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