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RIVISTA NOIQUI DICEMBRE 2024 https://www.youtube.com/@noiqui/featured
prova anche a distanza di ulteriori anni, ad ottenere un trasferimento, consa-
pevole della sua raggiunta inadeguatezza al vivere cittadino. Un trasferimento
al quale deve ancora una volta rinunciare perché altri lo hanno preceduto. Il
senso di smarrimento che prova durante una licenza, è totale. Non riconosce
più la sua casa, i suoi affetti più cari, ed i ritmi cittadini gli sono del tutto
estranei. Il dialogo con il suo vecchio mondo si è interrotto. L'impossibilità al
trasferimento sancisce così il suo ritorno al deserto, nel consumarsi della vita
e dell'attesa di quel nemico che dovrà giungere, come la morte; come la beffa.
Perché si ammala, Giovanni Drogo, proprio quando il nemico si materializza e
la guerra può avere finalmente il suo inizio. Non può più combattere, corroso
dalla malattia non gli resta che essere trasferito. Quel trasferimento sempre
rinviato, e mai desiderato fino in fondo, si prende la sua ultima scena. Ma,
nonostante ciò, egli comprende proprio in fin di vita che ad essere sconfitto è
stato il suo vero nemico, quel nemico palesatosi con le sembianze della paura
della morte, una paura che non ha più. La battaglia decisiva è stata vinta.
Quel che si doveva compiere, si è compiuto. Al di là dell'epilogo della vicenda
in sé, sullo sfondo restano tutti i temi dell'inadeguatezza e dell'incompiutezza,
che ci restituiscono uno scorrere reale dell'esistenza ben diverso da quella che
può essere la nostra immaginazione. Quanto ci poniamo come obiettivi da rag-
giungere nel tragitto che ci è dato di compiere, può tramutarsi nell'angoscia di
una perenne attesa fine a sé stessa, trasformandoci in una rotellina all'interno
di un meccanismo di repulsione/accettazione. L'aspetto materiale di situazioni
concrete come la rigida organizzazione militare con le sue regole indiscutibili
per antonomasia, l'ambientazione asettica della fortezza da presidiare immersa
in un deserto tanto angusto quanto dilatato nei suoi orizzonti, trasfigurato nel
mare di Hemingway per certi aspetti, in analogie rintracciabili ne' “Il vecchio
e il mare”, dove la solitudine del secondo è pari a quella dei diversi personaggi
del libro di Buzzati, tutta questa combinazione di forme strettamente legate
allo scorrere del tempo, costituiscono l'essenza di un assurdo che dà il senso
unico ed ultimo dell'agire di ognuno.
Quello che è il sottotenente Giovanni Drogo, ciò che rappresenta in termini di
costrizione e ricerca del proprio posto nel mondo, non è ravvisabile anche in
ognuno di noi? Ipotizziamo un uomo altro in un posto altro, in un qualsiasi
altro posto, che con speranza (e rassegnazione) attende l'evento rivelatore, e
che nell'attesa che ciò accada, si rende uniforme a regole e situazioni che forse
non condivide, ma le accetta fino al punto che non riesce più a farne a meno, è
lo stesso uomo che osserva con un cannocchiale un puntino nero in lontananza
nel deserto, e crede che quel puntino nero sia finalmente la svolta tanto atte-
sa, un puntino nero che tale resta. Così come resta tale l'inganno che la vita ci
riserva come esito finale, l'unico aspetto che non tradisce le attese. Ma anche la
più “realizzata” delle vite, se provasse per qualche istante ad interrogarsi nel
profondo sul suo significato, non potrebbe che trarne smarrimento di fronte al
susseguirsi di eventi che non sfuggono ad una stessa catalogazione, molto più
simile di quanto si pensi, ad altre esistenze cosiddette minori. Poniamo a con-
fronto due situazioni differenti (?) di tale assunto, dove colui che non si con-
forma al comune sentire, è giudicato anormale proprio nel suo prendere atto
dell'assurdità dell'esistenza, che si manifesta in atteggiamenti definiti normali
soltanto perché eseguiti dalla maggioranza, dove finanche la felicità viene
inquadrata a maggioranza. E più radicate sono tali regole, più estraneo appare
colui che non le rispetta. Pensiamo al personaggio dello “Straniero” di Camus,
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