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                    ABIANA BIA CUSUMANO





                   IL cAntO dI un AmOrE


                              PErdutO

                di Bia Cusumano

                Divoro l’ultima silloge poetica di Ste-
                fania  La  Via,  Agli  orli  della  notte,
                peQuod edizioni. Me l’ha posta tra le
                mani durante un incontro intenso e
                appassionato  di letteratura  italiana.
                Ricordo nitidamente il gesto e sempre
                lo ricorderò. Dalla borsa, universo di
                noi donne, tira fuori con cura la sillo-
                ge e la ripone come un talismano pre-
                zioso tra le mie mani. Teneramente mi
                abbraccia, come una amica, una sorel-
                la, una donna come lei dalla stessa parte della Bellezza. L’incontro letterario
                incalza, trattengo la silloge tra le mani, ne avverto l’energia vitale e dolente
                allo stesso tempo. Mi sussurra dentro l’abbraccio: “Appena puoi, leggila, Bia
                mia.” Le faccio cenno di sì, che la leggerò con la stessa cura preziosa con cui
                me ne ha fatto dono. Tengo la silloge con me, la conduco nei miei giorni at-
                traverso gli spazi in cui mi muovo: la cucina, la stanza da letto, il salone. La
                silloge con la sua copertina turchese pare animarsi di vita propria e reclamare
                tutta la mia attenzione. Mi siedo, la accarezzo dolcemente, la guardo, la sfo-
                glio nel silenzio di una fredda mattina di gennaio. È urgente la voce che pro-
                mana dai versi. Urgente come l’amore, indecifrabile come la morte. E amore
                e morte si incontrano in una danza seducente nei versi di Stefania. Si rincor-
                rono, si intrecciano, vivono dello stesso respiro. Sono versi di delicata e lucida
                memoria che resta oltre gli strappi del vivere, nell’incanto dei giorni intessuti
                di fugace felicità. Leggo i versi con la fame del dolore che s’apre in me, pagina
                dopo pagina.

                Si staglia netta l’immagine ricucita di un amore perduto che solo il canto poe-
                tico può restituire a chi resta, in fotogrammi, in odori, in sillabe sparpagliate.
                Solo la Poesia può ricucire la ferita dello strappo, azzardare un senso all’im-
                ponderabile mistero della fine che trancia una vita ancora in divenire. La sillo-
                ge è il racconto poetico di due anime intrecciate da una amicizia che ha radici
                nell’infanzia, tempo di giochi spensierati, di sonni ristoratori, di sogni audaci.
                Una amicizia che attraversa l’età adulta, la maternità, le responsabilità, le
                fatiche, le delusioni, i doveri ma anche i vezzi di due donne: il rossetto fucsia,
                le collane turchesi, i tè condivisi nell’intimità di una cucina, quel raccontarsi
                fatto di segreti, fiori trapiantati, squarci di mare e voli di uccelli. Vi è tutto
                in questa esile e potente silloge di Stefania La Via: Eros e Thanatos giocano
                a nascondino, si rincorrono, si affrontano con la stessa forza, in un colloquio



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