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RIVISTA NOIQUI FEBBRAIO 2025 https://www.youtube.com/@noiqui/featured
temerario e nostalgico, seduttivo e a tratti ipnotico; la Filìa, lo strappo invali-
cabile, il sogno, il Nóstos. È il racconto dolente di un viaggio solo andata. Le
fermate sono le singole liriche. E noi lettori, in questo inesorabile viaggio vor-
remmo trattenerci ancora un attimo in più, aggrappati ai versi, certi che finché
ne avremo altri da leggere, Sabrina (l’amica amata e perduta) sarà presente con
le sue esili mani curate, le sue scarpe, il riflesso dei suoi capelli radi, i suoi respiri
sempre più flebili. Sarà viva tra quelle sillabe sparse e ricomposte dall’amore
di Stefania. Sarà viva per lei, per la madre, il figlio, il marito, gli amici, per noi
sconosciuti lettori; eppure, a lei così intimi.
Questa intimità è il filo che è riuscita ad intessere la nostra poetessa con l’arte
sapiente delle sue liriche, un ago che ha trapuntato la vita di una anima strap-
pata alla vita da una morte improvvisa e tutto il resto che s’espande prolifico
per noi, al di qua degli orli della notte. Per noi che siamo dalla parte di chi so-
pravvive oltre la fine. Quella fine è l’ultima fermata dello stesso treno in cui tutti
siamo seduti, viaggiatori a tratti inconsapevoli perché fagocitati dal trambusto
e dal fragore delle necessità del vivere. La poesia allora interviene come misura
che riequilibra la folle illusione di una vita senza morte. Ricuce lo strappo nella
consapevolezza che tutti portiamo addosso la morte che balugina di illusioni
fatue. Sabrina ci ha solo preceduti e ora dall’altra parte della stessa notte ci
guarda con consapevole e muta presenza.
La poesia di Stefania non ci consola della perdita, ci restituisce invece la dimen-
sione di precarietà tutta umana che ci segna fin dal primo vagito, ci riconsegna
al destino crudele di sopravvivere a chi amiamo. Non lenisce il dolore ma fa
rimbalzare domande a cui neanche la Musa può dare risposte. Può solo tentare
di differire, di procrastinare l’attesa di quel confronto ineludibile con la verità.
La silloge di Stefania è il canto struggente di un amore perduto che tenta di
orientarsi nella notte come un bimbo scalzo, al freddo di un gennaio siderale.
Eppure, l’amore in chiusura del suo canto tenta di dare una sferzata al viaggio
solo andata. Bruscamente s’arresta per pochi istanti, la corsa vertiginosa e im-
percettibile del treno come il moto rotatorio della terra. “Solo l’amore dà senso
al precipizio.” Non ci consola ma è l’unica verità che ci salva dalla disperazione,
dal non -sense di una vita giocata sul terreno minato della morte. È un bocciolo
di risposta che solo l’arte può concedersi. È un testamento lapidario, una pro-
fessione di fede laica. È l’unica immagine alla fine del viaggio che si fissa nelle
nostre pupille: l’amore immenso che dilaga da lirica in lirica come una colata di
lava che pur ha la delicatezza di una cascata d’ acqua fresca. I miracoli di ricom-
posizione che solo la Poesia può e sa compiere. Nella dinamica degli opposti e
delle contraddizioni, solo l’amore è il senso a cui aggrapparsi, l’unica possibilità
per non impazzire di dolore. Perché sopravvivere a chi amiamo è la sfida più
crudele a cui tutti siamo chiamati. Ecco il mistero di questa silloge. Stefania ha
rovesciato la morte nell’unica possibilità di vita che ci salva: vivere l’imponde-
rabile mistero della morte costruendo amore oltre il precipizio.
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